Ancora oggi l'uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia

F. Nietzsche

Quella che vi apprestate a leggere sembrerebbe una favola, ma non lo è, innanzitutto perché non ha un lieto fine, anzi, ha una conclusione piuttosto atroce, ma a volte anche un finale terribile può essere utile per trarne una morale. Attenzione, si parla di favola e non di fiaba, perché come qualcuno probabilmente già saprà, la prima si distingue dalla seconda per il fatto che ha per protagonisti degli animali. Nel caso specifico, i protagonisti sono degli scimpanzé, tuttavia alla fine di questo articolo troverà posto anche un'altra categoria di scimmie e, immancabili, arriveranno anche gli esseri umani.

Gli scimpanzé

C’era una volta un gruppo di scimpanzé, con la loro gerarchia di stampo patriarcale, con le femmine in ruoli subordinati seppur importanti, i cuccioli teneri, pelosi e scuri. Un giorno, il gruppo viene sconvolto da un evento inaspettato: una femmina mette alla luce un cucciolo albino! La madre stessa viene colta di sorpresa all’inizio. Tuttavia, è pur sempre una madre e così, dopo un po’, accoglie il figlio “diverso” e lo accudisce come avrebbe fatto con un qualsiasi altro cucciolo. Il gruppo però non segue il suo esempio: dopo un po’ di giorni emerge dell'inquietudine, manifestata per prima da alcuni maschi giovani, di lì a poco si diffonde a macchia d’olio anche tra gli anziani e poi addirittura fra le altre femmine del gruppo. Tutti, insomma. Il nervosismo si tramuta presto in aggressività seguendo un'escalation fino a sfociare in primi episodi di violenza, con vere e proprie spedizioni punitive che arrivano a strattonare la madre del cucciolo "diverso" fino a quando entra in scena il maschio alpha del gruppo, che minaccia esplicitamente la madre. Si arriva così ad una fatidica notte in cui il figlio viene sottratto dall'abbraccio materno. Il mattino dopo, il cadavere del povero cucciolo viene ritrovato su un ramo, mezzo sbranato e smembrato. Anche ormai privo di vita, il corpo non riesce a sottrarsi alla curiosità del gruppo che sfila accanto al cadavere per osservarlo meglio, toccarlo ancora nelle membra rimaste, cercare di capire cosa avesse di diverso da loro, nonostante fosse, anche ai loro occhi finalmente, definitivamente inoffensivo.

Come preannunciato, questa favola non è una favola, non solo perché ha un finale che è tutt’altro che lieto, ma anche perché è una storia realmente accaduta, osservata all’interno di un gruppo di 75 scimpanzé nella foresta centrale di Budongo, in Uganda, e descritta mediante uno studio dell’Università di Zurigo.

Le conclusioni di questo studio hanno dimostrato che, nonostante l’infantidicio tra gli scimpanzè non è di per sé un evento raro, in questo caso specifico la differenza è dettata dal fatto che le reazioni alla nascita del cucciolo albino siano state immediatamente negative, cosa che non avviene negli altri casi. Lo hanno odiato da subito! Ovvero, non c’è stato un meccanismo di selezione naturale alla base della scelta del rifiuto e dell’omicidio  – gli albini avrebbero meno chances di sopravvivenza per diverse ragioni  – ma proprio un sentimento di rifiuto, di percezione di un “altro”, di diverso, di pericoloso. Insomma, in poche parole: gli scimpanzé sono xenofobi.

Gli esseri umani

Adesso passiamo dagli animali agli umani, con un altro esperimento, realizzato pochi anni fa a New York: ad un gruppo di umani della stessa etnia viene sottoposta un’immagine di un individuo sconosciuto, ma appartenente ad un’altra, per osservare come reagisce il cervello a questa immagine. Quindi, per esempio, ad un gruppo di bianchi viene mostrato il volto di un afroamericano, e viceversa. Si è osservato che nel cervello scattano tre aree, la prima, il giro fusiforme, è quella deputata al riconoscimento di un volto. Immediatamente dopo scatta l’amigdala, la responsabile delle emozioni e in particolare delle azioni di difesa, che riconosce che quel volto come “diverso”. Subito dopo – un terzo di secondo circa  – scatta la corteccia prefrontale, che interagisce con l’amigdala e la mitiga, la induce a riflettere prima di chiudersi sulla difensiva. In poche parole dice all'amigdala: calmati, magari non c'è nulla da temere. L’interazione tra queste due aree “risolve” il problema e fa sparire la reazione istintivamente diffidente.

C’è una seconda parte ancora più interessante: se allo stesso gruppo viene mostrato un individuo di un’altra etnia, ma “famoso”  – immaginate per esempio di mostrare LeBron James o Will Smith ad un gruppo di bianchi  – il meccanismo dell’amigdala non scatta e si arriva direttamente al meccanismo di “non pericolo” della corteccia. Questo cosa significa? Che l’esperienza personale, di ognuno di noi, i propri gusti, il fatto che abbiamo già visto quella persona che dunque è riconoscibile ai nostri occhi, interviene e modula la reazione istintuale dell’amigdala. Ciò comporta una buona notizia ed una cattiva. La cattiva è che noi siamo xenofobi istintivamente, come gli scimpanzè del resto, ma - ed ecco quella buona - grazie alla cultura siamo capaci di modulare la nostra reazione biologica.

Se cresco in un ambiente in cui mi fanno comprendere che non c’è nulla da temere dal diverso, la mia amigdala lo accetterà ed eviterò di temere e quindi odiare chi è altro da me. O di insultarlo su un campo da calcio senza nemmeno rendermene conto, tanto per fare un esempio.

Siamo solo povere creature

Nell'introduzione si era detto però che altre scimmie sarebbero entrate nel discorso, e con una motivazione interessante: esiste in realtà un altro gruppo di animali che non manifesta questa  tendenza xenofoba, o comunque è molto bassa, e sono i bonobo. I bonobo, pur condividendo il 99% del codice genetico degli scimpanzé, non sono xenofobi. In generale, sono più propensi non solo alla tolleranza, ma all’affiliazione anche tramite il gioco o il sesso. Il motivo? Probabilmente risiede in una differenza nella struttura sociale: nei bonobo, la gerarchia è molto più sfumata e le femmine giocano un ruolo molto più centrale nell’organizzazione sociale; al rango sociale più alto si associa sempre la presenza di una femmina e si osserva la formazione delle coalizioni femminili, cosa che non accade negli scimpanzé.

Siamo arrivati al termine finalmente, ci vuole dunque la morale che, in fondo, è sempre molto semplice da capire, ed in questo caso è rivolta a tutte le mentalità Acerbe di questo mondo: la natura non è mai né buona né cattiva, lo diceva Darwin del resto, anche Hume.

La natura è diversità ed è contraddizione. Non diamole la responsabilità di dirci cosa è il bene e cosa è il male, che sono concetti profondamente umani. A questo serve la cultura, l'apprendimento. O forse le donne. Non è forse anche questo uno dei messaggi che ci ha consegnato la straordinaria Bella Baxter interpretata da Emma Stone in Poor Things?

Ma, forse, nemmeno lei aveva pensato che, in fondo in fondo, avremmo potuto prendere spunto anche da dei semplici bonobo.