Il Napoli di Aurelio De Laurentiis è nel gotha del calcio mondiale. Ci è entrato grazie a una continuità di prestazioni - da urlo - impressionante. Le gare degli azzurri hanno prodotto una quantità di statistiche, individuali e collettive, che la piazzano al quarto posto nella classifica dei club più forti al mondo, stilata da quei capoccioni di Opta Analyst. Dietro solo a Bayern Monaco, Manchester City e Liverpool, che tra l'altro abbiamo seppellito di gol solo quattro mesi fa al Maradona.

La classifica ha aggiornamento settimanale e, nell'ultima, gli azzurri di Spalletti hanno guadagnato una posizione, stabilizzando il proprio rating a 93.3. I numeri non mentono mai. Se il bello è caldo, avvolgente e soggettivo, i numeri sono freddi, implacabili e duri. E, quasi sempre, raccontano la verità.

Belli fuori, ricchi dentro

In questo caso, a dire il vero, non tutta. Perché per dare ancora più valore a questo status raggiunto, basta applicare il parametro del monte ingaggi che vede il Napoli sotto i 70 milioni lordi a fronte delle cifre blu dei suoi compagni di classifica. Cifre irripetibili. Imbarazzanti.

I maligni urleranno al complotto. Proveranno a sminuire la portata di questa speciale classifica. Si affanneranno a strillare che contano i trofei. Avranno la giugulare fuori dal collo mentre proveranno in ogni modo a ricordarci che non esiste nessuna Coppa Opta. Calmatevi, Rambo. Non vogliamo arricchire la bacheca a voi cara con cimeli di ogni genere. Il nostro intento è pacifico. Però.

Però c'è un altro dato interessante e riguarda un calciatore che a inizio anno era considerato inadeguato per il 4 3 3 di Spalletti, semplicemente perché dopo Higuain sembrava che nessuno fosse degno di essere definito bomber a Napoli.

Di lui si diceva che non avesse tecnica, che non fosse armonico al gioco, che fosse troppo irruento, che fosse meglio Ronaldo in carrozzella. La favoletta è durata fino all'infortunio contro il Liverpool, anzi oltre, suffragata dalle buone prove di Raspadori e Simeone, che hanno spinto i dandy pallonari del Vesuvio a sussurrare di quanto si potesse fare a meno della corsa dinoccolata di Victor Osimhen.

Ma, oltre al tempo, anche il campo è galantuomo. Dal suo rientro, Osimhen non si è più fermato. Una valanga di gol contro ogni avversario possibile. Non solo. Victor ci ha insegnato una cosa molto importante che si spera tutti abbiano colto. Ve lo diciamo sottovoce, quindi se qualcosa non vi è chiaro, rileggetelo: la tecnica individuale non è solo estetica, ma funzionalità. E' la capacità di realizzare il progetto tecnico che l'istinto elabora ed eseguirlo ad una velocità tale da renderlo inesorabile. Vedi ultimo gol con la Roma. Petto, coscia, collo, Zzzack: la palla che sfonda la rezza.

Ma tutta sta prosopopea non è fine a se stessa. Ricordate anche l'altra diceria che contro le big Osimhen non segnasse? Sorry: abbiamo una brutta notizia per voi, amanti della concretezza. Dopo Haaland con il suo 1.4 gol ogni 90 minuti e Lewandoski con il suo 1.2, c'è proprio lui, il dinoccolato con 0.8 gol per 90 minuti contro squadre che sono top 100 del ranking. Alle sue spalle Mbappe e Kane.

Il dato del nigeriano arriva a 1.1 gol per 90 minuti quando gioca con squadre sotto la centesima posizione. Ma tutti sti numeri mi hanno fatto venire il mal di testa.

Arcobaleni e fango

La gestione del club è stata spesso oggetto di critiche. E le definiamo tali perché siamo dei pacifisti. Ma potremmo andarci giù pesante, ricordando l'etichetta di bancarella del torrone. Per anni si è detto che senza i top player e senza un monte ingaggi all'altezza sarebbero stati preclusi gli obiettivi massimi. Oggi è tutto un devivincerè, dimenticando che quest'estate il club ha ignorato il sentimento comune andando nella direzione opposta.

Il Napoli è entrato con le proprie forze e le proprie idee nell'aristocrazia calcistica. Un cammino lungo, nel fango della Serie A. Controvento rispetto alle correnti della stampa locale, che non ha avuto la forza di raccontarne la mission, cavalcando un malcontento figlio della maleducazione sportiva delle vecchie generazioni, che a loro volta non sono state capaci di instradare le nuove.

Gli azzurri sono un arcobaleno di serietà in una tempesta di arroganza e malaffare. La sua immagine si decontestualizza dominando il contesto. Risponde alle proprie regole rigide. Non soffre la concorrenza sleale. Esce da questo percorso come un gigante buono. Che non ha bisogno di prime pagine per specchiare il suo ego. Ma che relega al gioco del pallone e alla sua onorabilità la propria soddisfazione.