Il Napoli in balia di De Laurentiis: confessioni di un malpensante
Cosa sta accadendo al Napoli di De Laurentiis? Una società abituata ad arrivare in anticipo oggi appare tremendamente in ritardo in qualsiasi cosa sia chiamata a cimentarsi. Ritardo che, parallelamente, inteso come fisico, fa capolino anche sul campo, con la squadra che ha palesato una condizione psicofisica semplicemente inadatta ad una squadra che veste il tricolore in petto.
Sembra che nel Napoli si stiano concretizzando tutti i worst cases scenario possibili: dalle ore 22.37 del 4 maggio 2023, il Napoli non ha vinto nemmeno una delle tante ‘battaglie’ che s’era promesso di portare a casa. Non ha convinto il proprio allenatore a rimanere in sella alla squadra appena vincitrice, non ha né convinto a restare, né impedito il suo arrivo alla Juventus, al suo Direttore sportivo. Infine, non è riuscito a tenere fermo, nell’ennesimo mind game con Luciano Spalletti e la FIGC, il tecnico toscano che, infatti, ha da poco intrapreso la propria avventura alla guida della Nazionale.
Sin qui, le questioni di politica organizzativa e gestionale, conclusesi con due scelte che definire a sorpresa è dir poco: in panchina, un allenatore che, al netto di un amabile aplomb, viene da dieci anni che definire altalenanti è un eufemismo, costellati da esoneri, piazzamenti in Europa League e culminati nella parentesi araba. Un allenatore sicuramente non scarso, ma che è difficile non definire come una scommessa, soprattutto a distanza di dieci anni dall’ultima esperienza (quella sì, buona) in Italia. Oltretutto, alla luce di una non meglio precisata identità tattica con il predecessore che, a dirla tutta, sembra tutt’altro che così scontata.
Se valgono per Garcia, queste considerazioni si decuplicano per Mauro Meluso, il nuovo Direttore sportivo, pescato dal dimenticatoio, una carriera quasi esauritasi tra campi di provincia, retrocessioni e salvezze, fermo da due anni e che arriva a Napoli senza apparenti meriti sportivi: se non, come direbbero i malpensanti, quello di un profilo basso, ideale per non oscurare il monocrate Aurelio.
Già, monocrate: perché De Laurentiis ha costruito una forma di governo del club in cui l’accentramento nelle sue mani è ancora più evidente. In cui la paternità di ogni scelta è a lui riconducibile direttamente, in cui non ci sono figure ingombranti che ne possano oscurare la vanità.
Quanto alla rosa, l’attendismo, più che una scelta, è sembrata una necessità, quand’anche una incapacità d’agire con la consueta risolutezza: troppo s’è indugiato per sostituire Kim, e lo si è fatto con l’ennesima scommessa che, per quanto lo scouting del Napoli meriti abbondanti aperture di credito, è un dato di fatto che ad oggi non venga ritenuto pronto a giocare nemmeno scampoli di gara in serie A. Troppo s’è perso dietro all’acquisto di un Gabri Veiga, che poi s’è scoperto doppione di colui che, in realtà, dalla sera alla mattina è passato dall’essere ceduto agli arabi alla folgorazione sulla via di un rinnovo damascato.
Infine, la cessione sul gong di Lozano, appena sostituito da Lindstrom (unica operazione unanimemente da club scudettato), con tanto di ammissione da parte di Garcia che del messicano non ne avrebbe fatto sicuramente a meno.
Confessioni di un malpensante, certo. Ma riflessioni che non si possono ignorare: s’è esaltato da sempre un modello, quello del Napoli di De Laurentiis, che, come detto in premessa, ci ha abituati ad essere sempre un passo avanti. Un modello con tecnici forti, personalità in grado di tenere in piedi la baracca e, sicuramente, centrali nell’impianto societario. Un modello di uomini forti che ci ha consegnato un Napoli dai destini altrettanto forti. Un modello in cui ADL si ergeva a baluardo, illuminato da intuizioni figlie di un lavoro di team, la vera forza del suo Napoli.
Quello di quest’anno, ad oggi, è altro: è ancien regime, puro. E allora, mai come stavolta, anche la relativa ripartizione delle responsabilità sarà pressoché totalitaria nei suoi confronti: quelle al Napoli calcio saranno legittimamente critiche al suo Presidente, in quanto unico dichiaratamente artefice delle fortune della sua squadra. In bocca al lupo!