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Desperate Housewives
Desperate Housewives

L’isteria della piazza partenopea non è altro che lo specchio del movimento giornalistico campano, ormai melmoso e stagnante. Come una palude nella quale non può crescere alcun fiore, non può fiorire alcuna idea. Come un cadavere in decomposizione, una carcassa al sole, sulla quale banchettano tutti coloro che intendono perseguire i propri interessi: giullareschi inviati, glabri lacchè e persino irascibili direttori di rete.

L’identikit del giornalista partenopeo

A rappresentare Napoli all’interno del panorama calcistico italiano ci sono prevalentemente due categorie di personaggi: le macchiette e i guru. La prima tipologia, quella più folkloristica, è la rappresentazione vivente di tutti gli stereotipi sui napoletani: cadenza dialettale, linguaggio colorito, odio spassionato per i bianconeri ed un vittimismo patologico condito da sindrome di accerchiamento.

La seconda tipologia invece, probabilmente anche la più subdola, racchiude tutti coloro i quali, con ingiustificata saccenza, si fregiano di avere sempre la verità in tasca. Conoscono perfettamente quale impatto avrà o non avrà sullo spogliatoio il nuovo acquisto di turno, sentenziano sul calciomercato societario assegnando voti nemmeno avessero una cattedra universitaria, le loro doti culinarie gli permetterebbero perfino di giudicare aspiranti chef al fianco di Cannavacciuolo e Barbieri…

Chi è senza peccato, scriva il primo tweet

Ma, quindi, di chi è la colpa? Andrebbe distribuita equamente tra tutte le parti in causa. La stampa partenopea, per i motivi che abbiamo già citato. La società, che tacitamente permette sempre ai soliti noti di partecipare alle conferenze stampa, nelle quali sempre i soliti giornalisti fanno le solite domande, aspettandosi le solite risposte. Una ristretta cerchia di annoiate persone attempate, praticamente la versione sportiva delle Desperate Housewives di Napoli.

Ed infine, parte della colpa non possono che attribuirsela i tifosi. Gli stessi che guardano con piacere trasmissioni e approfondimenti spudoratamente filo-strisciate, ma sono i primi a muovere sommosse quando invece sono i giornalisti partenopei a schierarsi a sostegno del club azzurro. O anche i tifosi “Zombie”, quelli a cui il contagio non ha causato la sete di carne umana ma la perdita del pensiero critico, un’epidemia in cui l’ego aumenta e il cervello rimpicciolisce.

Uno scontro fratricida a colpi di bilancio, acquisti mancanti e cessioni indesiderate. Mentre dall’altra parte del Po c’è chi, con invidiabile maestria, evita accuratamente scandali e processi che hanno coinvolto club ben più blasonati. Come se la titolarità di Pasquale Mazzocchi fosse uno scandalo maggiore rispetto a quello dei rapporti occulti tra società, tifo organizzato e malavita.

Mentre la stampa italiana rivanga nel passato del club azzurro alla ricerca delle plusvalenze su Manzi, Liguori e Palmieri, il movimento partenopeo è occupato a cercare il nemico in casa propria, in un’escalation autodistruttiva dai risvolti inevitabili. La speranza è che il vento del cambiamento soffi presto sul golfo di Napoli, portando via il tanfo di marcio che da tempo aleggia su questo sport.


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