La gentrificazione tattica è una cattiva maestra per Garcia
Si sarà destato come percosso Rudi Garcia a mente fredda, dopo la barbina figura rimediata nel secondo tempo della partita contro la Lazio che niente ha fatto se non paralizzare il Napoli dinanzi alla propria inettitudine a reimparare a giocare dopo lo shock di un goal subito in modo aberrante.
Inerzia negativa per quasi tutto il match, dal tecnico mai invertita ad avvisaglie svelatesi più che vistosamente, aggrottando la fronte per sciupare idee che non c'erano più.
La colpa numero uno è certamente la mefistofelica insistenza nell'improntare attacchi e difese a schema misto, desigillando il principio cardine dell'equilibrio dall'ampolla dei mantra tattici del Napoli, che oggigiorno non sono più fattori imprescindibili nel calcio.
Il tecnico franco-andaluso, timorosamente, e paventatamente su input societario, non ha cambiato la squadra che ha storidito tutti nella stagione scorsa, mantenendo immutati assetto e teorizzazione delle giocate ma disapplicando i concetti portanti.
Mossa azzeccata, fin quando la decodificazione tattica degli opponenti ha scoperchiato lacune macroscopiche di un gruppo di giocatori non più avvezzo a spersonalizzarsi per contrastare muscolarmente l'avversario di turno, presupponendo, ed a giusta ragione, di essere superiore in tecnica e predominio territoriale, perché la qualità prima o dopo sale sempre al potere.
Ma il trono della bravura è presto cascato e contro gli aquilotti, che hanno giocato la classica gara corti e stretti per ripartire in contropiede, il Napoli si è contorto su se stesso fino a capitombolare imbarazzantemente sotto i colpi inferti dalla Lazio dell'ex Sarri (saggio) con un cinismo ed un acume tattico di buono spessore e rebustezza. Il Napoli si è così sdrucito lentamente, fino a disunirsi.
Se oltre alla grammatica esistesse una semantica della tattica, pretesa come senso logico dei movimenti, quello di Garcia sarebbe certamente un anacoluto; sistema di gioco denaturato dal 4-3-3, giocatori smemorizzati di sincronismi assodati e un costrutto privo di conformità a qualcosa di identificabile. La squadra, per intenderci, nei secondi 45' non ha più avuto un assetto visibile come sistema e tutti i giocatori si sono scelti le ubicazioni nel campo a proprio piacimento, creando combaciamenti, giustapposizioni e intralci. Un tutto indistinto, che, oltre alla frustrazione, ha aggiunto confusione, peggiore alleata quando devi essere flemmatico e attaccare senza impulsività.
Ludibrico per chi osserva il gioco, raccontare della costruzione a tre con Lobotka in arretramento tra i centrali, eccessivamente reiterata e molto lenta, dei terzini perdurantemente sfalsati, attaccati alle spalle e fuori riga a scomporre la difesa su palla scoperta o contropiede. Osimhen davvero molto isolato e mai avvezzo a scambiare in verticale i palloni, e le mezz'ali sommariamente disastrose nel corrispondere le due fasi con eguale resa, avare di pressing, scherniti tatticamente da Cataldi, Kamada e Alberto che assorbono alla grande un'onda d'urto mai effettiva.
Dopo un incipit in cui la squadra ha dato la sensazione di voler sprintare da imbrigliata, manovrando adattivamente all'avversario, ha cominciato ad assoldarsi all'anarchia tattica e perdersi non solo nelle misure ma anche negl'intenti: Meret che para flaccidamente o non para per niente. I difensori centrali che rompono la linea senza una scelta di tempo, scoprono sempre palla, favoriscono i contropiedi e s'incrociano nelle marcature (se non le perdono addirittura). Juan Jesus sul primo goal smarrisce l'orientamento e non aggredisce Felipe Anderson ad esempio, azione a cui Kim aveva ben abituato, e sul secondo goal Rrahmani tergiversa due secondi in più su Kamada. I terzini non fanno la linea di difesa quando si perde palla e mirano più ad attaccare che a difendere. Lobotka non ha la calamita del gioco in avanti nei momenti chiave della partita e non riesce a verticalizzare ad hoc. Gli esterni d'attacco faticano a trovare la porta e a chiudere le azioni venendo spesso a convergere senza generare occasioni. Mezz'ali di centrocampo non pervenute tra le maglie del gioco ed Osimhen che sembra stia giocando per dimostrare di essere il più forte attaccante giovane del mondo, sbracciando e imbronciandosi spesso, senza calibrare i suoi movimenti con quelli dei compagni. I subentrati sembrano poi piovuti in campo per mala sorte.
Tutte queste discrepanze in un agglomerato di concetti apparentemente messi in pratica, creano una gentrificazione di posizioni all'interno del perimetro di gioco in cui ognuno pretende di massimizzare il proprio profitto in campo anziché coordinarsi con i compagni e sfiancarsi in una corsa in più. Decade la forza segreta dello spirito di squadra in questa catarsi all'incontrario.
Non è assennato condannare con fermezza l'allenatore perché si è perso in malo modo e perché la squadra si è volatilizzata nelle percezioni e nelle convinzioni. Ma bastava retrodatare la preparazione della partita e poi immettervi elementi nuovi per sortire effetti migliorativi sulla performance di squadra.
Di fatto, cambiare idee perché una debacle, seppur accettabile, d'inizio campionato non risulti già una caporetto per le ambizioni tronfie degl'azzurri (in nero) è pretesa arguta, ma non accorgersi in anticipo che, con idee ben meno altezzose da aggiungere senza sottrarre niente, bastava guardare Napoli-Lazio del 3 Marzo e adattarle a quel rotocalco, forse avrebbe fruttato un risultato di algida strategia e non di supponenza.
Inoltre la compagine partenopea nel consuntivo degl'undici che hanno marciato sul terreno di gioco ha corso 8.7 chilometri in meno della Lazio, con una corsa media inferiore di 790 metri per calciatore, che rappresenta una misura ponderata sulla percorrenza del campo avanti e indietro almeno 4 volte. Dato inquietante se pensiamo che il Napoli ha detenuto possesso palla e predominio territoriale sulla metà campo, a vidimare il tabellino delle poche corse, fatte male. Segnale che il primo e l'ultimo terzo di campo siano stati lasciati molto scoperti. È pertanto un argomentazione pertinente quella della fiacchezza atletica, che la squadra aveva denotato in ritiro e che ha ben mascherato nelle prime uscite contro formazioni unanimemente classificate come più deboli.
Tante criticità che circolarmente non lasciano intravedere buone novelle calcistiche nell'immediato futuro, adunate a situazioni contrattuali stantie che non rinsaldano la posizione da dominatori della scena dei calciatori top in rosa, Kvara ed Osimhen.
Quella del Napoli che misconosce un passato recente fatto di concentrazione imperturbabile e che utilizza le verticalizzazioni destorse e i lanci per cavarsi d'impiccio, non è la migliore versione di se stesso.
Una versione, attualmente sbiadita, della squadra che Garcia prova temerariamente a cambiare senza snaturarla, in direzione ostinata e controvertita alla retta via che ha consegnato al Napoli il sogno dello scudetto e, per l'enunciato delle forze assegnate sulla carta in Serie A in base al calciomercato, adesso sembra di nuovo un'utopia.