Lo scontro tra il Comune di Napoli e Aurelio De Laurentiis sulla costruzione di uno stadio nuovo riflette il tipico intreccio tra politica e interessi privati in Italia. Mentre il Comune cerca soluzioni diplomatiche, come l'affitto a lungo termine con costi elevati, De Laurentiis, dopo lo scudetto che ha donato alla città, sente un obbligo morale di tutelare il patrimonio sportivo napoletano.

L'impasse nasce dalla divergenza di vedute sulla gestione dello stadio. Il Comune vorrebbe mantenere il controllo, proponendo condizioni finanziarie onerose, mentre De Laurentiis vede nell'affitto a tali costi un tentativo di sfruttamento. La sua proposta di costruire altrove mette in evidenza la sua volontà di non permettere al Comune di usufruire a suo piacimento dell'impianto sportivo, sottolineando la responsabilità morale che si sente di avere nei confronti dei tifosi.

Dopo aver portato lo scudetto a Napoli dopo 33 anni, De Laurentiis sembra rifiutarsi di lasciare nelle mani di un'amministrazione che ritiene inefficiente e mediocre la gestione di uno stadio nuovo. La sua proposta di lasciare l'impianto attuale con la pista per gli atleti e costruire altrove è un atto di sfida, un modo per mettere alla prova l'abilità dell'amministrazione nel gestire un flusso consistente di persone durante le partite, oltre a dimostrare la necessità di un'impianto moderno.

Il conflitto si trasforma quindi in una lotta non solo per il controllo di uno stadio, ma anche per il riconoscimento della capacità di gestione e di visione a lungo termine. La tensione tra il mondo dello sport e quello della politica si manifesta in una partita più ampia che coinvolge la fiducia della città nella classe dirigente. Resta da vedere come si evolverà questa contesa e quale sarà l'esito per il futuro dello sport a Napoli.

Una cosa è certa: se solo ci limitassimo a paragonare i risultati sportivi economici e amministrativi del Napoli squadra con quelli secolari di chi amministra il Comune la disputa non avrebbe ragione di esistere. Sarebbe curioso capire quale sarebbe il destino del Maradona se De Laurentiis decidesse davvero di lasciarlo definitivamente per investire in una nuova struttura. Magari, fra dieci anni, le poche centinaia di cittadini che usufruiscono della pista di atletica si ritroveranno ad affrontare nuove discipline come la corsa campestre tra i rifiuti ingombranti oppure il salto del barbone.

Discipline che già vantano numerose strutture adatte, una su tutte il fu Stadio Collana che per anni è stato un ecomostro piazzato al centro di uno dei quartieri più evoluti del tessuto cittadino. Dovrebbero ricordare questo i consiglieri che da due giorni si nascondono dietro il dito della difesa del bene pubblico. Una difesa a oltranza che sembra più un tentativo maldestro di guadagnare consensi in quella fetta ampia di contestatori del Presidente, piuttosto che trovare una soluzione in linea con il bene generale della città.

Il merito di De Laurentiis è stato quello di riuscire a riaprire un dibattito in maniera feroce, con il sorriso sulle labbra, in diretta tv europea. Lo ha fatto dallo scranno dello stadio più moderno al mondo, in casa del club più titolato al mondo, in una capitale europea di una nazione che dal punto di vista economico non versa in condizioni tanto diverse da quelle italiane. Eppure lì le cose si muovono.

Ma al sorriso di De Laurentiis, i consiglieri comunali stanno rispondendo mostrando magliette del Napoli acquistate di fretta per dimostrare la propria fede e con slogan che prima del patto del Britannique appartenenvano agli ultras. Dall'alto dei loro maglioncini consumati puntano il dito contro una delle eccellenze del territorio napoletano, che ha ricostruito ed esportato in tutto il continente una nuova immagine della città che smette di arrangiarsi e inizia a programmare attraverso principi di etica economica solidi e inderogabili il proprio futuro. Futuro vincente.

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