Ad oggi, pur avendo cambiato l’Executive Chef, il Napoli, più che un piatto di alta cucina, ricorda preoccupantemente un mappazzone.

Un’idea, chiara e riconoscibile, c’è. E ha l’imprimatur di Antonio Conte, incaricato di una spedizione che però assume ogni giorno che passa sempre più il carattere dell’impresa.

Trovare una quadra in questa squadra, adattando i principi agli uomini a disposizione, e viceversa, sembra un rompicapo difficile da risolvere se non approvvigionandosi massicciamente dal mercato.

L’esperienza di Conte e del suo staff non si mettono in discussione: e infatti, con quella buona dose di realismo che contraddistingue l’etica del manager navigato, Conte ha deciso di tenere qualche punto fisso, non mettendo in discussione tutta la baracca, assecondando un istinto di conservazione e rivendicando la calma necessaria nelle valutazioni sui singoli.

Certo, si può anche sbagliare: e oggi l’idea di confermare Meret, i suoi limiti strutturali ed il vissuto ingombrante, appare, ecco, quanto meno opinabile.

Allo stesso modo, le scelte di questo precampionato, con il Di Lorenzo indietreggiato, Mazzocchi promosso titolare e Politano inamovibile, pongono al centro del dibattito l’assoluta inconsistenza della catena di destra, che ricorda, per certi versi, il meme del cavallo disegnato, egregiamente raffigurato da un lato e appena tratteggiato da un bambino dell’asilo dall’altro.

E ancora non appare chiaro come l’insalata di trequartisti, mezze punte, attaccanti possa colmare l’enorme gap di qualità e quantità offensiva: il miglior attaccante del Napoli è stato senza dubbio Spinazzola, che farebbe il laterale di fascia e che oggi, nelle combinazioni con Kvara, sembra l’unica soluzione offensiva efficace.

Il timore è sempre lo stesso; credere che il virus atavico dell’ottimismo non sia stato debellato e spinga a sostenere che a questa squadra basti poco per essere competitiva. Ignorando i risultati di un audit, durato un anno e mezzo, che ha evidenziato l’esatto opposto.

Così come si sta dimostrando fallace l’exit strategy ipotizzata per risolvere il caso Osimhen, che sta privando Conte del passato e del futuro centravanti, impantanando la fase offensiva, il calciomercato tutto e anche l’umore complessivo dell’ambiente in una attesa beckettiana dai connotati sempre più inquietanti.

Insomma, ad oggi al Napoli manca molto, moltissimo, per poterci far stare tranquilli: certo, quest’anno, a differenza dei bagordi dello scorso, alla società sembra non mancare lucidità nell’individuare obiettivi e strategie.

Ma ad oggi deve come il pane ritrovare quel senso pratico che, oggi, sembra arenatosi nella solita partita a battimuro dove si è fermi sulle proprie posizioni: che infine posso danneggiare anche chi, a buon ragione, vanta aspettative e pretende riconoscimenti equi.

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