Dal giorno in cui l’urna ha accoppiato Napoli e Milan i media hanno cavalcato l’onda emotiva dell’evento, quasi provando ad imporre la romantica narrativa di un Milan staccato in campionato ma pronto a risorgere dalle sue ceneri come una fiera araba fenice in Champions. E tutto questo mettendo in campo quello che, opinionisti e giornalisti, hanno chiamato DNA Europeo.

Avere un pedigree importante è di sicuro uno dei fattori essenziali nell’ambito sportivo, ma avere un passato glorioso quanto può realmente incidere sul presente? Ma soprattutto basta solo questo per determinare un successo o a dati livelli l’affermazione è il sunto di più aspetti?

Oggi il Milan è una squadra che sembra aver smarrito le certezze degli ultimi anni, quell’alchimia che li ha visti, nella passata stagione, vincitori con merito del campionato sembra essere smarrita. Da inizio 2023 sono appena 15 i punti raccolti sui 36 disponibili, con il distacco dal primo posto che si è dilatato fino a raggiungere i 23 punti e una classifica che vede i rossoneri in lotta con Roma e Atalanta per difendere l’ultimo posto utile per la qualificazione alla prossima Champions League.

Nonostante questo, siamo consapevoli che la doppia sfida dei quarti ci restituirà un Milan diverso, che farà di tutto per accorciare la distanza tecnico tattica dalla squadra di Spalletti, ma perché continuare con questa storia del DNA Champions?

Analizzando la realtà dei fatti, nell’attuale dirigenza del Milan il solo Maldini può fregiarsi di questa tanto decantata esperienza internazionale. È stato lo stesso Gerry Cardinale, managing partner di Red Bird e proprietario del Milan, ad ammettere di non essere a conoscenza che il suo club fosse la seconda squadra dopo il Real Madrid ad aver vinto più Champions. E andando a leggere i nomi a disposizione di Pioli non si può parlare di veterani della competizione, con diversi titolari che proprio nella passata stagione hanno fatto le loro prime apparizioni nella massima competizione continentale.

Considerando i calciatori con almeno 20 presenze in Champions notiamo che il solo Giroud è da ritenersi un titolare, mentre gli altri elementi, per motivi fisici o di rendimento, sono da considerarsi ai margini della rosa.

immagini riprodotte dal sito transfermarkt.it

Elementi rappresentativi come Maignan, Leao o Hernandez invece non superano le 15 apparizioni nella prestigiosa competizione, un numero che li mette sullo stesso piano, se non inferiore rispetto ai colleghi di sponda partenopea.

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Ma ciò che più tende a sminuire la teoria di un DNA capace di imprimere una svolta decisiva alle prestazioni di gruppo, sono quelle individuali di calciatori come Osimhen, Kvaratskhelia e Kim, che contano meno di 10 presenze in Champions, ma capaci in questa edizione di determinare il risultato a suon di prestazioni e gol, con una continuità e un’efficacia tale da essersi fatti notare dagli appassionati di mezza Europa.

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Ed ecco che il ripetersi di certe affermazioni nei salotti sportivi di mezza Italia ed oltre sembra un disperato tentativo di autoconvincimento, l’ultimo baluardo al quale aggrapparsi per provare a risollevare le sorti di una squadra assopita, con un tecnico che ha perso il piglio che ne contraddistingueva le scelte e che oggi - per provare a riacquisire qualche certezza - non riesce a fare di meglio che smontare un progetto tecnico lungo quasi tre anni per passare ad una improbabile, e mal collaudata, difesa a tre.

Anche perché a star a sentire queste bizzarre teorie il Napoli non avrebbe avuto scampo nei gironi contro Liverpool e Ajax, due club che hanno scritto la storia passata e recente non solo della competizione, ma del calcio ad ogni suo livello. Due squadre che di DNA Champions ne hanno in abbondanza, e se analizzassimo l’andassi delle ultime cinque stagioni probabilmente anche più della squadra rossonera.

Il 12 aprile assisteremo al primo atto di una splendida sfida, dal risultato incerto come è nomale che sia quando si sfidano due squadre di pari livello in una competizione come la Champions, e ciò che ne determinerà della qualificazione alle semifinali non sarà determinato dal fantomatico DNA, bensì dalle qualità dei calciatori in campo, dalle mosse degli allenatori in panchina e dal fato che - come sempre - accompagna ogni sfida.

La storia è una componente importante di questo sport, questo non va negato, ma lo è altrettanto la deontologia e la corretta informazione. Il pubblico, a rigor di logica, pretende una narrazione limpida, prive di moti propagandistici che, spesso e volentieri, tendono a trasformare le attualità con realtà condizionate da scelte ed opinioni del tutto personali. I giusti meriti si guadagneranno sul campo, l’unico giudice imparziale che questo sport dispone.


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