Ricordo quando il calciomercato era il periodo in cui ci si svegliava presto al mattino, si correva in edicola a comprare il giornale e si faceva colazione aprendo la pagina del borsino. Si fantasticava sulle formazioni: il grassetto indicava gli affari conclusi e il corsivo le trattative aperte.

Durava giusto il tempo della colazione, o gli intervalli di tempo trascorsi sotto l’ombrellone tra un tuffo e l’altro. Un periodo che, a un figlio degli ‘ottanta’, ricorda gli anni dell’adolescenza, quelli di un Napoli che poco alla volta abbandonava i fasti del periodo d’oro di Diego e che ogni anno vedeva svanire i pezzi pregiati.

Il calciomercato ai tempi del social

Le giornate passavano senza campanelle pronte ad avvisare ogni risvolto di una trattativa, niente spaces dove condividere rumors e opinioni. Oggi, invece, i social - strumento che resta eccezionale - non solo ci hanno privato della poesia, ma sono diventati il veicolo con cui far circolare le più becere frustrazioni.

Insulti di ogni sorta, ingiustificabili data la natura del tema trattato, inondano la rete a ciclo continuo. Internauti dall’istruzione approssimativa che provano a spiegare come andrebbe amministrata una società da centinaia di dipendenti e milioni di fatturato. Improvvisati conoscitori della materia calcio che si percepiscono come scouter professionisti, ognuno convinto di avere il giusto nome da proporre per la propria squadra.

Poi ci sono i “ragionieri”, quelli che fanno i conti della serva e pretendono di dare lezioni di economia a un imprenditore capace di uscire indenne dalla crisi globale generata dal COVID, senza nessuna multinazionale o fondo speculativo alle spalle.

La gestione del bilancio del Napoli: garanzia per i tifosi

Una crisi che ha messo in ginocchio l’intero sistema calcio in Italia, con le nobili rappresentanti a leccarsi ancora le ferite e costrette ad artifizi finanziari, leciti e non, per tirare avanti.

È bastata una trattativa saltata per far esplodere il malcontento in una tifoseria che fino a qualche settimana fa gonfiava il petto orgogliosa per lo scudetto appena conquistato, indice che in fondo l’ultima esaltante stagione aveva solo assopito un viscerale risentimento verso la proprietà, accusata di non essere interessata alla vittoria, ma di gestire la squadra secondo i principi economici che un qualsiasi imprenditore applica alla propria impresa.

In tanti hanno già provato a lanciarsi in previsioni sul risultato del prossimo bilancio, che sarà sicuramente positivo, ma che dovrebbe essere letto non solo in ottica presente, ma considerando il futuro a medio e lungo termine del club e il passato. Un passato che vede il Napoli chiudere col segno meno e circa 25 milioni di perdite gli ultimi dieci anni, per arrivare agli ultimi tre bilanci chiusi in rosso, con un passivo di circa 130 milioni. Anni tremendi dal punto di vista finanziario, superati solo grazie alla lungimiranza di una dirigenza capace di accantonare, negli anni, i milioni di utili serviti per non dipendere dalle cessioni ed evitare di smantellare la squadra, fino ad allestire una rosa capace di riportare a Napoli uno scudetto atteso 33 anni.

E se quella “riserva” è andata esaurita, è nell’ordine delle cose ripristinarla. Non solo a tutela dell’investimento di un imprenditore privato, ma anche per permettere alla squadra di mantenersi ad alti livelli e, quindi, anche a vantaggio della sua tifoseria.

L’aver trattenuto calciatori come Osimhen e Kvaratskhelia e rinnovato la maggioranza dei protagonisti dell’ultima appassionante cavalcata, sembra non aver alcun peso agli occhi di chi oggi arriva a minacciare perfino di morte chi fa informazione sul Napoli o ad eccedere negli insulti al punto di costringere una delle responsabili marketing, la cui unica colpa è quella di essere figlia del Presidente Aurelio De Laurentiis, a chiudere il proprio account social.

Ti amo “solo” quando vinci

Difficile non provare tristezza (il termine giusto non è questo) per questo modo di sentirsi tifosi; dall’essere interessati esclusivamente alla vittoria, dimenticando il principio fondamentale del sostegno a prescindere dalla competizione e dal risultato.

Perché amare il Napoli vuol dire anche creare un ambiente sano dove poter prosperare, senza caricare di eccessive pressioni società, staff e calciatori. Perché il proprio club va amato sempre. “Anche quando vince”.