A che punto siamo con il progetto tecnico di Conte
La vittoria in (rocambolesca) rimonta con il Parma è stata importante sotto due punti di vista. Il primo: consente agli azzurri di tirare il fiato e di raffreddare gli animi dopo un inizio di annata che sembrava l'esatta prosecuzione della scorsa stagione. Il secondo: ha mostrato a tutti, pubblico e stampa inclusi, che il gruppo sembra aver ritrovato unità di intenti. E le immagini viste a fine partita – di una squadra che torna a godersi la vittoria in gruppo, con tanto di abbracci e sorrisi ritrovati – sono forse segno del fatto che il primo passo del progetto Conte si sta compiendo (ci sia consentita la cautela).
Dopo le macerie della scorsa stagione, infatti, il compito più urgente che spettava al nuovo tecnico era quello di ritrovare la dedizione alla causa dei calciatori e la pace all'interno dello spogliatoio. La strada più radicale, ma anche quella più semplice, sarebbe stata quella della rivoluzione sul calciomercato. Non è stato così perché Conte ha preferito far leva sul gruppo dello Scudetto. Gli va riconosciuto il merito del fatto che questa scelta, la più difficile, sta iniziando a dare i suoi frutti. Ed è ragionevole pensare che, con l'ingresso a pieno regime degli ultimi acquisti, le cose non possano che migliorare.
Le prime lacune del Napoli di Conte
Qualcosa, però, non torna nei discorsi di Conte e nei risultati sin qui visti del suo lavoro. A due mesi quasi dall'inizio del ritiro di Dimaro, infatti, quel che si vede in campo è dir poco scoraggiante. Non è tanto, e non solo, il fatto che si sia vinto col Parma in maniera fortunosa, complice l'espulsione ingenuissima di Suzuki – anche se, per carità, l'entusiasmo della piazza è comprensibile: i ducali sono pur sempre la squadra più in forma del momento e, poi, le vittorie in rimonta piacciono a tutti. Quanto è proprio quello che si è visto in campo a far preoccupare.
Arrivati a questo punto della stagione, ad oggi, l'unica cosa che sa fare bene il Napoli è il pressing alto: lo si è visto nel primo tempo col Verona e anche in certi tratti del match contro il Bologna. E lo ha sottolineato anche il mister stesso in qualche passaggio in cui ha parlato di "ferocia". Allora, resta incomprensibile che gli azzurri abbiano impostato la sfida con il Parma proprio sulla rinuncia a venire a prendere alto l'avversario. Il risultato qual è stato? Accantonare ciò che al momento gli azzurri sanno fare meglio per lasciare comunque il pallino del gioco al Parma nella fase centrale del primo tempo e, di fatto, regalargli un'intera frazione di gara.
Per non parlare della squadra, di fatto spaccata in due blocchi nelle transizioni negative perché, da una parte, i calciatori offensivi erano chiamati comunque a schermare il primo possesso, mentre dall'altra la linea di difesa restava quasi bloccata per prevenire eventuali pericoli dovuti alla velocità degli attaccanti gialloblu. Praticamente è quasi una rinuncia alle mercature preventive: una semplificazione dei compiti difensivi che sa tanto di mesta reattività.
L'ossessione di Conte per il calciomercato
Una criticità che, naturalmente, non è legata esclusivamente all'analisi della partita, quanto soprattutto all'atteggiamento che ha Conte. Il tecnico salentino lo conosciamo benissimo: per motivi anagrafici, è anche lui uno di quelli per cui è sempre meglio "pensare prima a non prenderle", e il resto poi si vede. Il problema, però, nasce dal fatto che il Napoli ha avuto effettivamente il predominio territoriale della partita e, quando si è alzato il baricentro nel secondo tempo, si è riusciti finalmente a mettere in difficoltà il Parma.
Insomma: bisogna scongiurare che le preoccupazioni dell'allenatore del Napoli si trasformino in un pragmatismo facilone che rischi di frenare le potenzialità della squadra. Inoltre, abbiamo assistito a lunghe fasi del match in cui gli azzurri hanno presentato la stessa problematica vista già in Coppa Italia contro il Modena: lunghe fasi di attacco posizionale in cui a muoversi era solamente la palla, mentre i calciatori restano fermi, togliendo così imprevedibilità all'azione. Ci sarebbe anche il rebus Lobotka e Anguissa nel nuovo sistema di gioco, ma è un aspetto su cui si sono soffermati già tanti commentatori.
A fronte di tutto questo, però, Conte continua a parlare troppo di calciomercato: cessioni, acquisti, paletti imposti dalla società... Anche l'armamentario dialettico del nuovo allenatore del Napoli lo conosciamo bene. Però, ecco, c'è un problema di metodo enorme: cosa si fa con Cagliari e Juventus, nel caso in cui i nuovi acquisti non si siano ancora integrati? Che succederà se, malauguratamente, nel corso della stagione dovessero infortunarsi Lukaku e Neres? Si busserà di nuovo alla porta della società o si studierà qualche soluzione tattica ad hoc?
Che poi, se si pensa bene, il problema è di metodo: cioè pensare che il lavoro di campo debba essere risolto facendo innanzitutto leva su determinate caratteristiche dei calciatori da acquistare. L'ultima volta che il Napoli ha agito così è stato quando si è comprato il cartellino di Osimhen, che doveva servire a dare profondità a una squadra molto sterile nel possesso come il Napoli di Gattuso. E sappiamo tutti com'è finita. Conte, dalla sua, è un allenatore molto "sul pezzo", capace di recepire le novità che vengono dal calcio contemporaneo. Ed è proprio per questo che l'allenatore salentino non può permettersi di pensare che ci siano scorciatoie rispetto al lavoro di campo.