Napoli si è lasciata dominare dal risultatismo: di questo passo, quella azzurra, sarà una maglia come un'altra
Chi lascia Napoli ha sempre ragione. Un po' come le opere dei pittori, che post mortem acquistano valore. A questa legge non è sfuggito nessuno. Né Sarri, né Spalletti e neanche Giuntoli. Nessuno dei tre è arrivato tra i favori del pubblico. Anzi. Di Sarri si diceva fosse inadeguato. E che Higuain sarebbe scappato dopo averne percepito la mediocrità. Spalletti - fino al pareggio di Napoli Lecce di appena 14 mesi fa - era percepito come un eterno perdente, presuntuoso e con una dialettica soporifera in conferenza stampa. Giuntoli, per anni, è stato definito il portaborse del Presidente, un ds senza portafoglio.
In questo lasso di tempo, il Napoli ha conquistato due volte novanta punti, vinto uno scudetto e una coppa Italia, mostrando al mondo un calcio che è divenuto iconico. Lo ha fatto grazie all'inadeguato, al perdente e al portaborse. Uomini scelti dal nulla da un presidente monarca. Figli di una visione che travalica il presente e tende al futuro o al sogno. Il Napoli ha rappresentato un'opportunità per ognuno di loro. Ma l'unico a crederci è stato De Laurentiis. Che coltiva la cultura del "forse".
Quattro mesi di scelte infelici da parte del club, hanno però cancellato la memoria collettiva. La genesi degli arrivi dei protagonisti di questa opera di ingegneria umana è stata completamente stravolta. E come ogni movimento che punta al revisionismo storico, anche quello degli eterni contestatori, in apnea da un anno, riemerge dall'ombra ponendo lo start della storia dove meglio conviene: alla fine, in questo caso.
E' il giorno di Nicolas Higuain, fratello del Pipita. Una carriera da agente terminata con il ritiro dal calcio giocato del fratello. Approfitta del momento no del Napoli per riprendersi la sua personale rivincita sul presidente De Laurentiis: "Non merita i complimenti per lo Scudetto". Di quello che pensa Nicolas, ci interessa zero. Ma diventa spunto interessante per analizzare le reazioni dei tifosi. Ci sono quelli che mossi da orgoglio e cervello attaccano l'ex agente, ma poi ci sono ancora le vedovelle, alle quali non importa quale morto piangere. Basta che sia avvelenato con il patron.
Genesi di un rancore indotto
A muovere i fili del rancore è il retaggio di secoli di dominazione che il nostro popolo ha subito nella sua storia. L'attitudine alla sottomissione è dura a morire e attraversa generazioni intere. Ovvio che la cultura e la capacità di elaborare ragionamenti in autonomia incidano molto sull'emancipazione di un individuo. Ma quando certe pulsioni mancano, l'istinto prende il sopravvento.
Il Napoli di Aurelio De Lauentiis è stato raccontato male. O non è stato raccontato proprio. O è stato raccontato a metà. Anzi, a metà e fuori tempo massimo. Per mettere mano a discorsi sulla capacità di raggiungere i risultati sportivi attraverso una condotta economica e etica di spessore enorme, infatti, si è aspettata la conquista di uno scudetto con 16 punti di vantaggio dalla seconda. Sono caduti tutti dal pero. Ma gli elementi per comporre il puzzle di una storia ricca di contenuti, erano tanti già prima.
La scarsa cultura sportiva italiana, che ancora esalta il risultatismo, ha contaminato anche parte di una tifoseria che ha dimenticato la propria natura e che ha tradito la sua missione principale: proteggere il concetto di fallibilità. Un valore che la distingue dal resto delle big. Si tifa Napoli perché rappresenta l'antisistema. Perché perde. E grazie alle sconfitte riesce a dare valore alle vittorie. Ed è proprio la fallibilità a renderla speciale. Umana. Prossima alla vita.
Il club di De Laurentiis ha il grande merito di aver ricollocato la vittoria in una dimensione non tossica. Ha preferito il percorso alle scorciatoie. Ha donato a un movimento collassato, quale è la Serie A, la ricetta per ripensarsi libero e vendibile. Non averlo spiegato prima dello scudetto più programmato e meritato di sempre ha creato un corto circuito nella percezione generale che, alla lunga, rischia di omologare il tifo napoletano al resto d'Italia. E quel giorno, quella azzurra, sarà una maglia come un'altra. Senza storia, senza magia.