"Sarebbe francamente grave se Gravina scegliesse un allenatore che non sia l’attuale tecnico campione d’Italia. I motivi sono molteplici, basta citare il più importante: è il migliore dei 4 (tra Conte, Gattuso, Nicola, ndr). Quello più bravo."

Prima dell'annuncio ufficiale di Luciano Spalletti alla guida della nazionale italiana di calcio, scrivevamo queste righe, tra le altre.

Perché chi scrive reputa il tecnico di Certaldo un genio assoluto. E lo considera tale da tanti anni, anche quando ampia parte di Italia lo definiva "il perdente di successo" o peggio ancora "l'eterno secondo". Perché poi tutto è perdutamente rapportato ai trofei. Se vinci sei bravo, se non vinci non lo sei.

Ma Spalletti a Napoli ha vinto. E lo ha fatto nella città che non vedeva lo scudetto da 33 anni, dominando in lungo e in largo il campionato. Ha fatto la sua parte e l'ha fatta egregiamente. Come l'han fatta la presidenza, lo staff tutto, i calciatori. Quando si vince, ogni componente della società ha lavorato in modo ottimale. Se non accade questo non si vince. È semplice. Nel calcio ma in ogni campo lavorativo di questo mondo.

Ma dal 4 giugno, da quando il Napoli ha alzato la coppa al cielo, ne è passata di acqua sotto i ponti. Soprattutto i più attenti (e Napoli Network, ad onor del vero, lo è stata) avranno notato delle fasi "strane", divenute poi col tempo molto meno emblematiche. Più chiare.
Spalletti chiede un anno sabbatico al Napoli, impegnandosi di non allenare l'anno calcistico successivo. Addirittura firma un accordo dove ribadisce questa decisione. Poche settimane dopo, il preparatore atletico Sinatti (nuovo eroe napoletano a discapito di Rongoni, anche se i dati dicono il contrario) si dimette.

Spalletti diventa tecnico quindi della nazionale e Sinatti entra, tra gli altri, nel suo staff. È chiaro ed evidente ormai che erano trattative avviate da tempo. E allora perché non essere chiari con la piazza che tanto ha supportato (al suo secondo anno, ricordiamolo) il tecnico toscano? Perché non dire da subito che il divorzio era dettato da altro (da qualunque cosa, non necessariamente per via delle sirene di Coverciano) e non perché era effettivamente "stanco"?

Aurelio De Laurentiis, inserendo ormai la famosa clausola, è come se avesse capito il gioco. Come se avesse immaginato che dietro tutto questo vi era una sorta di disegno più grande. Perché il patron del Napoli è un osso duro, ha l'intuito di un ragazzo di 30 anni, anticipa spessissimo i tempi, capisce e carpisce situazioni agli altri nascoste.

Forse Spalletti pensava di fare un torto alla tifoseria? Forse credeva che indissolubilmente la colpa sarebbe ricaduta su De Laurentiis? Perché così è sempre stato da 18 anni a questa parte. Evviva il populismo. Invece no. Le parole nascoste, le dimissioni volontarie, la chiamata per Sinatti, la non telefonata al Napoli, i soli due mesi sabbatici sono sintomi di chi già aveva deciso il suo futuro e ha pensato di affrontarlo in modo poco chiaro nei confronti degli altri. Inutile pure raccontare altro. Roberto Mancini ha fatto delle dichiarazioni gravissime sul perché delle sue dimissioni che sono passate in sordina. Nessuno ne ha parlato. Come se, appunto, ci fosse un disegno dietro tutto questo. Disegno in cui l'allenatore campione d'Italia è stato l’attore protagonista.

Spalletti è e resta l'allenatore del terzo scudetto. Un assoluto mago della panchina. Un genio, come già detto. E per tali motivi doveva vivere questi mesi con chiarezza. Quella che contraddistingue i fuoriclasse. In campo e fuori.