Cara Napoli, scusa il disturbo... ma c'è una stagione da concludere
Il calcio ed il Napoli devono essere come una droga; certo, in termini di dipendenza, il rapporto è facilmente desumibile. Non stanca mai, anche quando si vorrebbe staccare è impossibile frenare l'impulso di guardare anche solo un risultato a 8000km di distanza, come è accaduto al sottoscritto, alle 3 di notte del penultimo giorno di luna di miele.
Devono essere una droga anche perché - e qui invito tossici e tossicologi a smentirmi o approfondire argomentando - è capace di ingenerare, con una certa ciclicità, emozioni e sentimenti, che si intersecano, anche nella loro diametrale dissonanza, proprio come accade per gli effetti delle sostanze psicotrope.
Il balzo tra l'euforia, la gioia e la depressione, fra la frenesia e l'apatia, la totale linearità con le quali si passa da una fase all'altra senza soluzione di continuità è comune solo a due cose: una di queste è il calcio. E anzi, questo processo, per il tifoso del Napoli, una speciale sottocategoria, è amplificata da un rapporto speciale con il tempo che, in un incantesimo dilatatorio, si espande e assottiglia, rendendo 33 anni o 180 giorni la stessa distanza emozionale tra ciò che è stato e ciò che è.
La capitale mondiale della nostalgia
A Napoli, capitale mondiale della nostalgia, era inevitabile pensare che dal giorno 1 d.T.S. (dopo il terzo Scudetto) si sarebbe cominciati a rimpiangere i bei tempi andati; il primo a farlo è stato proprio De Laurentiis, aggrappatosi come il Peter Pan di Hook ad un pensiero felice, quello di trattenere Spalletti e Giuntoli, senza rendersi conto che il dado era tratto da un pezzo e che, nel mondo dei grandi, non c'è spazio per i sentimenti, se non su un pezzo di pelle (e dirà qualcuno, scusate se è poco).
Ma non è di questo che voglio parlare. Sinceramente, dopo mesi, ne sono francamente esausto. Da settembre, abbiamo passato in rassegna ogni singolo comportamento, ogni parola, ogni frase, ogni movimento, interpellato i più fedeli esegeti, pur di addivenire ad una conclusione che, a mente fredda, era palese sin dal giorno 1. Questo Napoli era stato costruito male, improvvisando, senza figure autorevoli laddove s'era imposto proprio grazie alla capacità di guidare il gruppo del suo allenatore.
Non è nemmeno di futuro che voglio parlare; troppo facile ipotizzare il nuovo allenatore, magari con D.S. a seguito, il nuovo sistema di gioco, Osimhen che va via coi soldi della clausola, etc. etc.
Questo pezzo è un appello. Alla città, ai tifosi, alla squadra. Alla proprietà, ai media, ai dirigenti. Insomma è un appello a chiunque abbia a cuore il Napoli.
Scurdámmoce 'o ppassato
Basta parlare di quello che è stato. L'abbiamo sviscerata talmente in profondità che questa storia oramai sembra già pronta per essere inserita in un sussidiario scolastico. E smettiamola anche di chiamarci futuri di cui oggi non si sanno né presupposti, né prospettive.
C'è una stagione da portare a termine, con tutto ciò che comporta. Una Supercoppa da giocare da Campioni d'Italia in carica, un ottavo di finale di Champions contro il Barcellona completamente ignorato, e venti partite di campionato per difendere almeno la faccia dopo una caduta così vertiginosa. Insomma, c'è ancora tanto da dire quest'anno, al netto di tutto ciò che è stato sbagliato e delle soluzioni che per il momento non paiono essersi trovate.
Napoli dovrebbe mostrarsi più interessata alle sorti di questa squadra; magari anche sferzando l'aria, fin troppo soporifera, intorno alla squadra. Contro il Monza, dopo l'ennesima prova scialba, erano più gli applausi di routine, che i cori che chiedevano un cambio di passo.
Sembra ci sia tutti assuefatti all'idea di una stagione in caduta libera, senza voler provare nemmeno minimamente ad invertire la rotta.
Questa squadra deve darsi un obiettivo; il primo, non trascendentale, è quello di incasellare due vittorie consecutive nei match di Supercoppa. Fiorentina prima, Lazio o Inter dopo, tre squadre con le quali s'è già perso e in malo modo. Ci sarebbe un dente avvelenato grande come una casa al quale aggrapparsi per strappare un trofeo in una stagione così complessa. E magari riaccendere una miccia emozionale che stenta a tenersi accesa.
E poi un girone di ritorno per togliersi gli schiaffi dalla faccia. Per vendicare sconfitte ed umiliazioni che quest'anno non sono mancate e per non consegnarsi alla storia come la Scudettata più distante dalla vetta della storia della Serie A.
Insomma, le motivazioni per guardare non dico con fiducia, ma quanto meno con spirito battagliero, alla restante parte della stagione ci sono; a meno che, ed è questo che mi tramortisce, non sia passata un po' a tutti la voglia di scendere in campo, ognuno nel "suo".
Io a questo non ci sto. All'idea di un altro semestre sabbatico non voglio e non posso, per rispetto al mio animo di tifoso azzurro, abbandonarmi. Questa squadra deve e può fare di più, e l'ambiente ha il dovere di ricordarglielo.