Dalle nostre parti siamo soliti dire che un forestiero quando viene a Napoli piange due volte, quando arriva e quando se ne va. Non ci crederete, ma i tifosi azzurri hanno fatto talmente loro questa campanilistica locuzione al punto da sovvertirne le parti, trasformandosi in figure disperate, che imprecano quando la società decide di affidare il ruolo di direttore sportivo ad un dirigente ai più sconosciuto, con una modesta carriera nelle serie minori, proveniente da una piccola squadra di provincia. Per poi abbandonarsi allo sconforto quando questi, dopo una militanza quasi decennale, decide che la sua avventura debba chiudersi dopo aver raggiunto un successo tanto agognato quanto inatteso alla vigilia.

Il riferimento al neo “football director” bianconero è tanto scontato quanto voluto e serve ad alimentare più che un dibattito, un nuovo e più corretto modo di vivere certi addii. Ovviamente non prestiamo il fianco alle accuse di una certa stampa di parte e nemmeno appoggiamo le reazioni uterine dei tifosi che solitamente, dopo una partenza, anche se dolorosa, anche se ai rivali storici, si dividono in due ben definiti schieramenti. Quelli che provano a sminuirne la figura, rendendola quasi marginale, superflua e quelli che credono che una volta andato via, tutto quello che è stato costruito crollerà, come un castello di sabbia abbattuto dalle onde.

No, siamo consapevoli del grande lavoro svolto in questi otto anni da Cristiano Giuntoli e siamo altrettanto consapevoli che con lui parta anche un frammento, un pezzo della nostra recente storia, ma forti di quello che ci ha insegnato il passato, crediamo che è proprio dagli addi che il Napoli trae la linfa che nutre i suoi successi. È proprio questa capacità di rinnovarsi, unita alla competenza delle sue figure apicali, che permette al club di non dipendere dai singoli. Un club dove tutti sono utili, ma nessuno indispensabile, dove il concetto di continuità manageriale è scandito dalla società che, come una spugna, fa suo il bagaglio di competenze di ogni interprete e lo lascia in dote ai nuovi arrivati.

Ed è seguendo questo principio che tanti professionisti, spesso estensione di figure principali, come allenatore o direttore sportivo, sono alle dirette dipendenze del club. Questo permette di non interrompere o disperdere il flusso di conoscenze acquisite e di nutrire il senso di appartenenza, pilastro portante sul quale poggiare le ambizioni di vittoria.

Anche Giuntoli deve la sua crescita professionale a questo modus operandi, al lavoro sinergico con un team che oggi è patrimonio del Napoli, con un’autonomia e capacità operative tali da permetterci di dar seguito al lavoro finora svolto. Lavoro che Pompilio, Micheli, Mantovani e tutti gli altri collaboratori che non vivono alle luci della ribalta, non hanno mai interrotto, permettendo al club di mantenersi competitivo nel tempo.

Perché credere che il merito di aver portato a Napoli talenti come Kvara o Kim sia un’esclusiva di Giuntoli vuol dire distorcere la realtà e adattarla ad una narrativa in cui il valore è una qualità da attribuire solo a chi parte, lasciando briciole a chi resta. Dimenticandosi che chi oggi lascia, ieri bruciava 25 milioni per Maksimovic, 18 per Pavoletti o 14 per Rog, mantenendosi a galla nei suoi primi anni grazie al lavoro del suo predecessore e all’intuizione di chi faceva accomodare sulla panchina azzurra Maurizio Sarri. Dimenticandosi che era lui il “collante tra squadra e società” quando dopo la vittoria col Salisburgo si consumava, negli spogliatoi dell’allora San Paolo, una delle pagine più brutte della nostra storia, con l’ammutinamento che di fatto destituì Ancelotti, costringendoci a due anni lontani dal vertice.

Per questo oggi vogliamo ringraziare il buon Cristiano, per aver detto basta, per aver lasciato il posto a chi non occupa una poltrona solo per mero professionismo, ma perché è entusiasta di far parte della famiglia Napoli. A lui auguriamo di sentirsi finalmente a casa, in quel club che sognava da piccolo, i successi ovviamente no e non ci danniamo per non esserti congedato come avremmo meritato. Addio Cristiano, “popolino” te salutant.