Arrigo Sacchi è stato uno dei più visionari della storia del calcio. Può essere considerato il padre fondatore di un nuovo modo di allenare. I principi che hanno caretterizzato le sue idee di squadra vincente sono ancora attualissimi. E' stato, insieme a Johan Cruijff, uno dei padri fondatori del calcio così come lo conosciamo oggi.

Pressing organizzato, difesa alta, recupero palla immediato, sono concetti di gioco elaborati dal tecnico emiliano durante la sua esperienza alla guida del primo Milan di Berlusconi. La sua carriera da allenatore è stata tanto breve quanto intensa. Il suo dipinto migliore è stato sicuramente il Milan degli olandesi, con il quale, nel quadriennio 1987-91 ha vinto 2 Coppa dei Campioni, 2 Super Coppe Europee, 2 Coppe Intercontinentali, 1 scudetto e una Super Coppa Italiana.

Nella settimana che precede Napoli-Milan, l'ex tecnico - che ha allenato anche il Real Madrid - ha rilasciato un'interessante intervista a Il Mattino sul match di domenica sera al Diego Armando Maradona. Tanti gli argomenti trattati: dalla condizione attuale dei due club, fino agli immancabili aneddoti degli anni d'oro dell'eterna sfida tra Napoli e Milan.

L'intervista di Arrigo Sacchi a Il Mattino

Sarà già snodo scudetto?

“Sono lì davanti assieme ad Inter e Juventus. Se la giocano e saranno nel mucchio fino alla fine. È evidente che però siano due squadre in difficoltà. Per il Napoli lasciamo tempo a Garcia: è un allenatore nuovo, deve far rendere i giocatori, deve difendere lo scudetto che è già una bella responsabilità. Occorre pazienza”.

Ne ha avuta De Laurentiis, ora è a presidio della squadra: vicinanza, presenza, la cura funziona?

“Il presidente è il presidente. Certe volte non serve neanche parlare. Bastano secondi, nemmeno sproloqui. Ai miei tempi Berlusconi in 27 secondi mise subito in chiaro le cose”.

A proposito di singoli il Napoli non ha Osimhen ed il Milan ha il 37enne Giroud con tante partite sulle spalle: chi ne risente di più?

“Nessuna squadra paga dazio a priori perché il calcio è un collettivo. Il Napoli lo ha già dimostrato: vince anche senza Osimhen così come il mio Milan vinceva anche senza Van Basten. Il Napoli dunque resta solido: il problema è come si vince”.

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In che modo, secondo lei?

“Qui si apre un discorso sul gioco tanto caro a Berlusconi che diceva di vincere e convincere. Giocare bene non è forma, nè dettaglio: è il primo passo per vincere e per essere competitivi a lungo. In Europa dove questo aspetto è un mantra le italiane ne escono con le ossa rotte. Avete visto il Napoli a Berlino?”.

Ha vinto…

“Vero, ma non ha dato spettacolo. Non mi sono piaciute la cifra di gioco e la distanza tra i reparti. Vincere aiuta a vincere, d’accordo. Però vincere non fa sempre bene se non sei abituato a farlo. Vedo giocatori spenti o forse sazi, alcuni di loro si sentono arrivati. Non riconosco più Lobotka. Prima era ovunque e non perdeva palloni. Adesso è un giocatore diverso. Chi con me non correva, non giocava e valeva per tutti. Vale anche per qualche milanista”.

Un esempio?

“Leao lo scorso anno ha fatto la differenza con il Napoli. Leao è Leao se corre. Se non corre io non lo faccio giocare. Talvolta per i giocatori occorre il pugno duro”.

Chi era per lei Maradona?

“Era tutto, era il genio del calcio in una squadra. Un giorno mi permisi di dire che il mio Colombo aveva vinto più di Maradona. Da quel momento giù titoloni su di me. Poteva mai essere? Maradona è stato l’artista del nostro calcio. Resta però il collettivo. Al ristorante mi chiesero chi avrebbe marcato Maradona. Mia moglie: “Tu non giochi a zona?” Probabilmente o lo facevo male o non lo volevano capire”.


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