Per la quarta volta, in circa cento anni di Serie A, lo scudetto arriva al sud. Su quattro, tre sono quelli vinti dal Napoli, uno dal Cagliari. La portata dell'impresa degli uomini e delle idee di Aurelio De Laurentiis è rinchiusa in questa statistica geografica. Ma anche economico politica.

Napoli, però, ha vinto da tempo. Non ieri e neanche domani. Napoli è una città riconosciuta a livello mondiale, chi la visita cambia per sempre. Napoli si conferma resistenza. Ancora una volta veste i panni della ribelle. Ma la novità è che in quest'occasione non è stata azionata dall'istinto o dalla disperazione. L'orgoglio e la fame non c'entrano. Tanto meno il riscatto. Non ci sono combattenti improvvisati o divinità calcistiche da ringraziare, ma generali e soldati scelti, funzionali al progetto. Una marcia lunga, strategica. Non è la sublimazione dell'arte di arrangiarsi, ma di una scientifica programmazione dallo stile teutonico.

Il Napoli è stato Mammà, ma di quelle severe

Il Napoli è stato mamma. Di quelle toste però, che non viziano i figli. Cosciente che non c'è altra strada da percorrere che quella dell'educazione per avviare al mondo i propri bambini. Le bolle di amore incondizionato creano uomini viziati, incapaci di affrontare i disagi che la vita propone. Il club ha deciso di essere una madre severa, non ha ceduto alla tentazione di farsi trasportare dalla tenerezza del quotidiano, ma ha sempre guardato al futuro.

Non si è fatto trafiggere dagli occhioni lucidi di chi voleva il giocattolo che i bombardamenti pubblicitari decidono sia di moda. Ha spiegato che ci si può divertire anche costruendo una fionda con due ramoscelli. Ha spiegato che è nelle piccole cose che si nasconde la felicità. Che l'appartenenza si realizza valorizzando i propri punti deboli, non scimmiottando i pregi altrui. Che i soldi non sono un fine, ma un mezzo, e che non decidono il destino, a differenza del sacrificio applicato al talento.

La festa Scudetto ha dimostrato che Napoli è un modello da cui imparare

Le prove generali della festa scudetto di ieri hanno dimostrato che questi anni di rieducazione calcistica sono serviti anche alla città, che non sempre ha collaborato con il club nella costruzione di una nuova identità internazionale, lasciandosi spesso cullare dalla bellezza per poi tornare a ricollocarsi in una dimensione alla quale non appartiene ogni qual volta questa non è coincisa con un trofeo.

Il bambino viziato è tornato a essere scugnizzo, rispolverando l'accezione nobile che questo termine nasconde in sè e che poco, troppo poco, viene divulgata. Il pareggio di Dia ha dato la possibilità al popolino di dimostrare di essere finalmente tornato ad essere popolo. L'orgoglio non è stato veicolato, questa volta, nei binari ciechi della delusione, ma è stato trasformato in una passione ancora più sfrenata. I balli e i canti che hanno accompagnato la fine del match sono la leggittimazione di una cultura superiore. La riscoperta della napoletanità nella sua essenza. Quella di un popolo più forte del destino che gli altri scelgono per la propria terra da anni.

Una lezione per chi vive di luoghi comuni

Le istituzioni cittadine hanno provato a spiegare che la scelta di spostare il match non fosse dovuta a motivi di ordine pubblico, ponendo l'accento sul principio della necessità. Ma da questo orecchio nessuno ha sentito. Si è preferito alimentare il teorema della città inferno. O, addirittura, tirare in ballo la regolarità del campionato come se le leggi di Stato fossero una carta spendibile da De Laurentiis a piacimento. Accadde lo stesso con la famosa trasferta di Torino, negata dalla Asl durante il covid, due anni fa. Non è un caso che chi attribuisce a Napoli la paternità di un concetto di legalità borderline, poi si lamenti quando la stessa è integerrima rispetto alle responsabilità civili. Una storia vecchia come il mondo.

Se solo l'opinione pubblica nazionale fosse uscita dalla comfort zone della narrazione che si è creata sul capoluogo partenopeo, invece di essere delusa per la mancanza di episodi di cronaca nera riconducibili alla festa di ieri, forse si sarebbe accorta che la nostra città negli ultimi dieci anni è la mecca del turismo italiano. Che chi la visita viene trascinato in un nuovo modo di concepire la vita e porta con sè un'esperienza spendibile nella propria quotidianità per sempre. Un souvenir impagabile, che pochi luoghi al mondo concedono. Un'operazione di marketing tra le più funzionali e durature mai concepite.

Il calcio, per ora, sembra orientato a imparare la lezione. Trovatosi con l'acqua alla gola, dopo anni di cattive abitudini vendute come unica strada per il successo, inizia a guardare al modello Napoli per non morire. Lo proporrà come sua idea, senza magnificare chi c'è arrivato prima, ma poco importa. La ricerca del consenso a tutti i costi è una forma di insicurezza che dalle nostre parti non possiamo permetterci. Li guarderemo compiacersi e sapremo di essere stata un'ispirazione, seppur forzata. Un modello da seguire. Consci del fatto che vedi Napoli e poi vinci, saremo già altrove, nel futuro, a rielaborare la vita, scavandoci dentro, per poi divulgarne i segreti, rendendola migliore anche a chi ci considera nemici. A patto che si facciano un piacere e siano predisposti a imparare.