L'errore di chi alimenta il dibattito sulla qualità del tifo al Maradona è quello di non aver compreso che non è una questione di soluzioni. O, almeno, non lo è più. Siamo in una fase avanzata di questa storia e se l'ambizione è quella di ripristinare lo status precedente, allora vuol dire non aver compreso che di fronte al tempo siamo tutti impotenti. Tranne chi lo anticipa.

Il silenzio del Maradona è la nuova era. Niente di definitivo, tranquilli. Ma fondamentale per la rinascita. Una condizione intermedia che risulta deprimente solo per chi non riesce immaginare il futuro. Il silenzio del Maradona è un passaggio fondamentale per una nuova alba del tifo partenopeo che, forse, oggi facciamo fatica a delineare. E quindi spaventa.

Continuare a rincorrere le colpe è un esercizio da comuni mortali. Lecito, ma niente di illuminante e stimolante. Da un lato gli ultras, dall'altro la società. Chi chiede alle due fazioni di venirsi incontro sta sprecando un jolly. Il percorso di allontanamento, piaccia o non piaccia, ha inizio quando la dirigenza decide di non creare legami con chi non reputa in grado, per indole, di farsi carico dell'immagine che il club vuole dare di sé, in Italia e all'estero. In pratica, dal giorno uno.

Così, mentre il Napoli ha iniziato a percorrere la strada della modernità, tramite una vocazione internazionale da tradurre sul terreno di gioco, il mondo ultras ha portato avanti il conservatorismo di un ambiente che rifiuta l'idea di doverla dare vinta alla contemporaneità. Persino sotterrando ogni forma di obiettività verso le vicende del campo, senza mai perdere l'occasione di mettere il carico da novanta ogni volta che la squadra ha vissuto momenti difficili. Gli eventi sportivi, a dire la verità, non sono mai stati storicamente una motivazione per mostrare appartenenza. Ma questo principio negli ultimi anni è stato invertito, con richieste di vittoria come diritto insindacabile: un tentativo di alzare l'asticella a una dirigenza ostile, che sa di dispetto. Questo approccio radicale è costato caro ai gruppi organizzati. Un'eutanasia in piena regola.

Anche se il dibattito di questi giorni si fonda sul "ci stiamo perdendo tutti", le cose in realtà sono ben diverse. Il Napoli, per esempio, è andato oltre. Lo dimostra la classifica che è frutto di scelte coraggiose fatte, anticipando il tempo, quando ai più risultavano incomprensibili. Neanche il botteghino ha subito danni, anzi. I sold out da inizio stagione non si contano più. Che dire delle famiglie e dei bambini che, in percentuale sempre più alta, affollano i sediolini colorati del Maradona? Un trionfo di bellezza e cartoline televisive incoraggianti.

E allora, piuttosto che concedere la carità di una sopravvivenza innaturale al mondo ultras, è meglio guardare oltre. Se non hanno voluto pensare loro a progettare un ricambio generazionale interno, magari non avendone gli strumenti culturali per approntare una strategia comunicativa in linea con i tempi, ci penserà la legge evolutiva che, come noto, non sa fare prigionieri. Certo, potrebbero sempre scegliere una fine gloriosa, piuttosto che scomparire nel silenzio o dandosene di santa ragione per diatribe interne. Ma è una decisione che spetta a loro.

Siamo nella storia, e vogliamo fornirvi il privilegio di poterla guardare dall'alto. Senza entrare nelle ragioni dei singoli. O farsi fregare dall'orgoglio per i cori di seicento laziali. Il Maradona tornerà a cantare di nuovo. La natura dell'uomo è quella di consociarsi. A prescindere dalle epoche. E lo farà con manifestazioni spontanee. I bambini che oggi affollano gli spalti cresceranno e lo faranno ispirandosi ad altri modelli da seguire. Saranno liberi da catene come quelle enormi della coerenza e mentalità. Saranno uomini diversi. Troveranno la loro originalità, la loro appartenenza, senza dover sottostare a codici d'onore posticci e dannosi. Cresceranno e saranno tifosi del Napoli comunque. Ma saranno liberi. Ed è un sacrificio di cui la nostra generazione deve farsi carico. Silenzio ora, parla il futuro.