Il pareggio col Torino, con tutta probabilità, esclude definitivamente il Napoli dalla corsa Champions. Le speranze di accedervi attraverso il quinto posto si dissolvono al termine di una partita condizionata dalla pessima gestione di colui che viene definito il miglior arbitro italiano.

Non parliamo di nessun episodio clamoroso. Anche la spinta di Buongiorno su Osimhen rientra nella casistica degli interventi al limite. Sarebbe stato probabilmente fallo fuori area, ma troppo poco per determinare un rigore. Benché il difensore granata non guardi il pallone, andando a caricare energicamente il nigeriano da dietro. Ma Victor esagera nell’accentuare il colpo e forse è stato anche giusto lasciar correre.

Si dice che l’arbitro bravo è quello che si vede poco. Orsato, invece, adora ergersi a protagonista. Posticipando, ad esempio, la ripresa del gioco per andare a catechizzare i contendenti. Tutto corretto, se non fosse che su oltre 100 minuti di gioco se ne siano giocati effettivamente meno della metà.

Tante parole insomma, ma alla fine in campo il Torino ha continuato col suo gioco fatto di un ostracismo intollerabile. Una serie ripetuta di cosiddetti falli tattici. Continue interruzioni a spezzare il ritmo di una partita che alla fine non si è mai veramente giocata.

Non è la qualità degli interventi che dovrebbe prevedere l’utilizzo dei cartellini, almeno non solo, ma anche la quantità. Se all’ennesimo intervento, anche lieve, avesse estratto un giallo, avrebbe fatto capire che un certo tipo di atteggiamento non poteva essere tollerato.

Ci chiediamo, perché è così difficile vendere i diritti all’estero? Non solo le immagini televisive, la cornice degli impianti o un livello tecnico che impallidisce al cospetto di altri campionati. Le continue interruzioni rendono le partite tronche, per nulla lineari e quindi noiose ad un pubblico esterno che vuole essere intrattenuto dal pallone che rotola e non dai continui fischi arbitrali.

Ma l’arbitro non è un alibi

Ma può solo questo aspetto, limitato al match di ieri, aver condizionato la stagione azzurra? Ovviamente no. Il Napoli ci ha messo tanto di suo, con scelte quantomeno discutibili nella scelta degli interpreti con i quali affrontare la stagione.

Prima Garcia e operazioni di mercato che hanno portato, per dirne una, Juan Jesus a diventare il titolare dopo due stagioni da gregario. Nulla contro il brasiliano, professionista esemplare ed elemento prezioso nello spogliatoio, ma non avvezzo al minutaggio finora sostenuto.

Poi la scelta Mazzarri e un mercato di riparazione che ha indebolito di fatto la rosa. Indebolita perché l’ha resa poco omogenea e soprattutto inadatta al calcio di Calzona, unica luce in un anno di ombre.

La partita di ieri è figlia di scelte condizionate dalla necessità di avere Traoré pronto per la sfida al Barcellona. Raggiungere i quarti di Champions ed alimentare la possibilità di qualificarsi al prossimo e primo Mondiale per Club, resta l’ultimo grande obiettivo stagionale.

Mazzarri ha condizionato mercato e lista Champions, con la tacita compiacenza societaria. Dendoncker è un oggetto misterioso e stentiamo a trovargli collocazione nell’undici di Calzona. Probabilmente vedrà il campo nei minuti finali di partite da amministrare quando si avrà un ampio vantaggio.

Zielinski escluso dalla lista Champions, ma impiegato in campionato. Ieri il polacco è stato impalpabile, un ex. Il cuore magari lo lega agli azzurri, ma testa e gambe sono ormai andate. E con Traoré da dover recuperare fisicamente, l’aver mandato Gaetano a Cagliari resta un sanguinoso mistero. Ostigard è il tipico difensore da inserire quando le avversarie provano il tutto per tutto lanciando palla, grazie alla sua qualità sui palloni alti. Ma quando si tratta di costruire gioco, partendo dalla propria area, vengono fuori tutti i limiti di un ragazzo che, non a caso, con Spalletti vedeva poco il campo.

Una stagione maledetta, sotto ogni punto di vista. Dove responsabilità e malasorte finiscono per fondersi senza soluzione di continuità. La ricetta di un piatto mal riuscito. Indigesto. Che lascerà il segno nel processo di crescita di un club colpito nell’orgoglio ed economicamente proprio all’alba di quella che era stata ribattezzata come la nuova era.

L’ultimo obiettivo stagionale

Ripartire dagli errori commessi è il principio di cui nutrirsi per ritrovare la strada perduta. Perché se le strisciate hanno ribadito il proprio status quo, al ventaglio delle proprietà Made in USA, oltre a Roma, Atalanta e Fiorentina, si è aggiunto il Bologna. Una Serie A, dunque, che ambisce a riguadagnare terreno nei confronti degli altri campionati esteri. Con il ranking UEFA delle ultime due stagioni che ne è la piacevole sorpresa.

I margini di errore vanno assottigliandosi, riducendo al lumicino gli spazi di manovra.
Martedì, a Barcellona, il Napoli si gioca un’ampia fetta della propria stagione e del suo futuro. Questa volta non sono ammessi errori. I bonus sono esauriti. Non ci si può concedere nulla al di sotto dello straordinario. Non si presta mai attenzione a ciò che è stato fatto; si vede soltanto ciò che resta da fare.