Con lo sguardo alle idi di Marzo, contro la battagliera Juventus si esibisce un Napoli intrepido, che riversa in campo il senso d’appartenenza al proprio popolo, figlio della madre di tutte le partite, e sotterra le tante ispidità del momento con una gara contraddistinta precipuamente dalla voglia di vincere. Ecco quanto emerso dalla serata memorabile del Maradona:

  1. IL MONDO NAPOLI ALL’INCONTRARIO

Stavolta l'agognata buona sorte arride al Napoli, che per tanto tempo si è accartocciato sulle proprie sventure. Ora il gruppo di Calzona si spreme nell’acuire la potenza dei propri valori morali e nel duello contro gli assatanati bianconeri, stempera la furia agonistica degl’acerrimi rivali con una prestazione non sublime ma di lucida gestione tecnico-tattica, seppur non scevra di qualche strafalcione e concessione agli strisciati, non concretizzatasi per l’improvvisa reificazione della fortuna. Vlahovic e Rugani di fatto mancano gol facili e crocifiggono la “vecchia signora”, mai così giovane per età media in campo in tutta la sua storia recente.

La spirale di problemi che aveva risucchiato la squadra azzurra, in questo momento plastico la risputa fuori più autodeterminata e cinica, smontando le certezze altrui, fin dove una rimaneggiata e modesta Juventus sul piano tecnico, sa profondersi in soli slanci atletici di pressing e contro bilanciamenti nelle marcature, ma come consuetudine soffre impunemente la profondità del possesso palla del Napoli, chiaramente perno su cui costruire il finale di stagione. 

È forse una chimera la qualificazione in Champions League per come sono stati scanditi da infingimenti e sconfitte gli ultimi sei mesi, ma se la partita col Barcellona, della strenua resistenza e della sofferenza indomita ad inizio match, aveva costituito il principio di nuovo inizio, questa contro la Juventus è il mini traguardo del ritrovamento di se stessi. Non spumeggianti e divertenti come in passato, ma con un avvincente “we believe” dentro ogni fatica che vale la pena fare. 

  1. IL GRAFFIO DI RASPADORI

Giacomino Raspadori subentra a Politano con tutta la sua carica emotiva e la procace perfidia con cui ama essere presente nei momenti clou dei match. In quello spazio circonflesso in area di rigore, entro cui correre rettilineamente per scaraventare la palla sotto l'incrocio dopo il rigore fallito da Osimhen, c'è la mistica di un ragazzo che avrebbe tanti mezzi per poter fare la differenza senza batter ciglio e invece quest’anno aduna tutti i suoi meriti in una predisposizione al sacrificio per i compagni, non meno lodevole, che stavolta cassa in toto qualsiasi critica sul ruolo o sulla posizione.  

L’ingresso in campo di Raspa è eccellente perché aggiunge quel senso di disciplina unito all'orientamento al compagno di cui la squadra si affranca in taluni frangenti, quando c'è da alzare la testa e ragionare, e non è banale neanche la considerazione in merito al rigore, sull'induzione all'addormentamento degli allineati bianconeri, che sulla prima linea vengono scavalcati dallo slancio in velocità dai tre avamposti partenopei: Di Lorenzo, Anguissa e lo stesso Raspadori, che dalla seconda linea, al momento dell'esecuzione per la ribattuta, si trovano tutt’e tre in coincidenza sulla stessa piazzolla di respinta per poter ribattere in porta, bypassando un eventuale blocco da parte degli avversari.

Ma è nel suo istinto graffiante che ancora una volta Raspadori magnifica gli istanti finali di gioco contro la Juventus e che testimonia l'imperituro atteggiamento di chi vuol lasciare il segno.

  1. IL TONFO DELLA JUVENTUDE

Per quanto appaia in distonia con una storia fatta di gloria e fasti, intervallata da deplorevoli soprusi, quella che si specchia nella propria frustrazione è oggi una Juventus di giocatori esperti malandati, mescolati in una catarsi di rinnovamento che prende le redini da autentici talenti, ma che non hanno le stimmate per calcare determinati palcoscenici da protagonisti assoluti.

Per quanto molto precoci, ai tanti giovani che la società Torinese ha imposto emergessero in pianta stabile nella prima squadra, manca la statura per attribuirgli l'etichetta di garanzia di gioco orientato al risultato, eppure con questa enfanterie che slava l'intonso bianco misto al nero della maglia dei sabaudi, vi sono note nuove con cui il Napoli ancora non si era confrontato prima d'ora negli scontri diretti.

C'è sempre stata la squadra corazzata, magari tutelata e fortissima che partiva con i favori del pronostico ma che sapeva di trovare nel catino del Maradona la pentola in cui poter ribollire, in questo caso all'opposto: si è presentata a Napoli una Juventus con un'età media di 25 anni, tra le più basse mai registrate in una partita di Serie A della Juve, e anti convenzionale rispetto alla storia del club che ha sempre puntato su giocatori di grande levatura ed esperienza internazionale, a pungere tutte le ambizioni degli Azzurri pur partendo da una posizione di classifica più comoda.

Malgrado tutte le concause, malgrado i gol sbagliati ed eventuali attenuanti del caso, la Juventus non ha dato segnali incoraggianti per il proprio futuro, se non una furiosa competitività agonistica di cui i club di rango fanno sfoggio come appendice dei propri valori tecnici e invece i giovani e forti ragazzi bianconeri sembrano aver già codificato questa modalità latente per non affrontare le partite col principio del merito.

  1. L’APPRENDIMENTO CONTRO IL TEMPO

Chi ha tempo non aspetti tempo ma al Napoli in questo momento non viene neanche concesso di poterlo avvalorare, il tempo esiguo che intercorre tra una partita ed un'altra, in cui la squadra accelera il processo di resettaggio e apprendimento di nuovi, per quanto atavici, principi di gioco che le donino più compattezza, migliore armonia, limino gli errori ed annullino i disequilibri.

Per quanto sul terreno di gioco si esibisca spesso una squadra dominante in larghezza, persistono ancora spezzoni di gara anche abbastanza dilatati, in cui si ha la sensazione d’un minimo di smarrimento e perturbabilità da parte degli undici in campo; per questo il lavoro all'inverso che Calzona sta facendo è utilizzare il tempo come fulcro del gioco e il campo come leva emotiva, come fosse un meccanismo inconscio con cui i calciatori si elevano in potenza nel momento stesso in cui stanno performando in una partita ufficiale. 

È il metodo ‘learning by doing’ che in questo momento dove la clessidra è già rovesciata, può essere il volano di una planata verso le posizioni che competono ad una squadra forte come il Napoli; lo testimoniano tanti numeri da corollario che nelle precedenti uscite non avevano lasciato in consegna ottimi risultati.

Vedasi alle voci: gol, tiri nello specchio, numero di passaggi e presenza all'interno della metà campo avversaria. Il Napoli vanta il primato in ogni singola statistica.

  1. SQUADRA ANTI-FRAGILE

Il concetto infungibile di anti fragilità, va ricercato dentro la composita natura dell'animo umano con cui i calciatori del Napoli stanno riassorbendo i colpi psicologici subiti da tanti piccoli accadimenti tellurici che a più riprese hanno traumatizzato la squadra, sub-iure degli strali presidenziali con il cambio di allenatori.

Attraversate varie difficoltà e vicissitudini quasi inevitabili, sembra che lo spirito e l'unità d’intenti siano stati ripristinati; il mantra del gioco che coinvolge tutti è nuovamente un caposaldo per antonomasia della squadra e non basta la minima difficoltà per abbattere la tenacia e la voglia dei calciatori.

C'è stata l'assenza di Osimhen, frontman per coraggio ed autostima, a rendere un po' più abbordabile il peso in campo sugl’assalti dei nemici del Napoli, ma oggi che il nigeriano padroneggia la scena un’altra volta, con tutto il suo modo di fare al centro dell'attacco, nella buona e nella cattiva sorte anche le sensazioni di negatività diradano di là dall'orizzonte verso cui il Napoli galleggia con l'unica consapevolezza che esser squadra in ogni momento è la più forte corazza alle intemperie.

  1. IL FIGHT CLUB OSIMHEN-BREMER

È un modo poco ortodosso di stare sul terreno di gioco quello della battaglia campale tra due calciatori, in cui prevale la carica agonistica e la refrattarietà al contatto fisico ‘sporco’ e per quanto il duello tra Bremer ed Osimhen regali una bellicosa sfida nella sfida, non si può certo dire che uno dei due abbia avuto la meglio, dal momento che Bremer non ha giocato bene, è stato ammonito, ha rilevato un infortunio lieve, si è reso protagonista di episodi topici e per quanto sia riuscito ad espletare tutto il suo potenziale fisico su Osimhen in sparute circostanze, la sua partita rimane insufficiente.

Dal canto suo Osimhen, se non avesse registrato il rigore procurato, avrebbe trascorso un'intera partita assorto nella gazzarra del Far-West innescato dall’elettricità del difensore brasiliano con i suoi movimenti reattivi. I due, non nuovi a questo tipo di atteggiamento da crociata, per quanto apprezzabili adrenalinicamente e comprensibili sportivamente, non hanno fatto una bella figura dinanzi all'Italia del pallone.

  1. FORTUNA CHE PRENDI FORTUNA CHE HAI

Si possono annoverare in almeno quattro o cinque, i gol divorati dalla Juventus in occasioni pulite che sanciscono il confine sottile tra la vittoria e la sconfitta del Napoli, maturata In circostanze poco sospette ma che nitidiscono la gigantesca negligenza dei bianconeri sotto porta.

In particolare Vlahovic indirizza male per due volte con la testa e con il piede, poi colpisce un palo in un assolo verso la porta e nel secondo tempo batte male in controtempo una conclusione fiondata.

In aggiunta alla negligenza, Rugani all’ultimo minuto trucida qualsiasi possibilità di risultato della sua squadra, dimostrando che anche se ogni tanto riesce a timbrare il cartellino i suoi piedi rimangono quelli di un bravo difensore applicato e poco altro.

I gaol sbagliati dal Napoli nelle partite precedenti, diventano in questo caso gol falliti dagli avversari che fruttano punti e una sorta di compensazione del destino, che proprio nella partita più importante dona al gruppo di Calzona la stura per affrontare con speranzosa alterigia le prossime partite, confidando in una fortuna non più cieca, ma sui propri mezzi e non sui demeriti degl'avversari.

  1. IL DEJA VU DI KVARATSKHELIA

Un’altra meraviglia per Kvaratskhelia, gioiello tecnico della squadra, diamante di una caratura tutt’ora imprecisata, che ogni tanto abbaglia col suo estro e con la sua verve autentica ed altre riluce ombre caratteriali in cui s’impelaga senza riuscire a sfogarsi. 

La volè che incenerisce Cambiaso e Szczesny per l'1-0 è una prodezza balistica di stile, arcuamento ed esecuzione e bissa un gol nella stessa porta realizzato allo stesso portiere 14 mesi fa. Si fa perciò perdonare l’errore clamoroso della partita d'andata. Primo giocatore in Italia a segnare per due volte consecutive nelle prime due partite casalinghe contro la Juventus. 

Poi impreziosisce il repertorio con il suo background manieristico di sterzate e ripartenze mantenendo il controllo, qualche volta schiantandosi sull’avversario ma per eccesso di protagonismo. Protagonista è infatti quello che Kvara vuole tornare ad essere ed ora che il rispolvero delle sue abilità migliori sta lustrando la strada del Napoli, l’auspicio è che non si fermi più.

  1. LA CINQUINA DI VITTORIE

Con il successo agognato al Maradona, il Napoli diventa la prima squadra nel nuovo millennio, dopo la Fiorentina nel primo quinquennio degli anni 60, a battere per cinque volte di seguito la Juventus in casa nel campionato di Serie A. dal 2019 al 2024 partite dorate per gli azzurri contro gli odiati rivali sportivi con 13 goals segnati. A cui si aggiungono anche le vittorie fuori casa allo stadium di Torino nel 2018 e nel 2023.

Un dato storico che, per i napoletani, vale più d’ogni altra aspirazione di successo. 

  1. IL POSSESSO PALLA COME FINE E NON COME MEZZO

La gestione del pallone come parsimonia dello strumento d'autorità, esercizio del potere tecnico, supremazia attitudinale, sorveglianza mobile dell'avversario, da conquistare come fosse il boccino nel quidditch, non è più il "quid pluris" nel calcio moderno ma una delle vie multiformi percorribili per creare il gioco. Il Napoli, filosoficamente, ha il sentiero tracciato da anni ed a volte è cascato nelle buche del percorso e qualche altra volta ha solcato la strada. Ora la situazione impone di attaccarsi al pallone per dargli vita, animare la materia inanimata del cuoio, donargli un senso estetico nel rotolare e nel viaggiare a tutte le frequenze.

Lobotka è il principe del palleggio azzurro e, come l'orbita dei pianeti, tutti gli altri calciatori si muovono concentricamente per generare spazio e capitalizzare il tempo. Ad oggi però quest'ultima azione è molto meno duttile e scontata dei tempi migliori, la squadra orchestra bene ma concretizza poco, si riversa in attacco senza un collante preciso e si tuffa in area di rigore a capofitto, a volte con monotonia.

Da ciò deriva più del 70% di possesso palla contro la Juventus, che equivale a circa 31 minuti con la sfera tra i piedi per i calciatori in maglia azzurra; e seppur la gran parte delle opportunità fioccate non si sono tramutate in chiare occasioni da goal, è nella ricerca di cose nuove con la palla che si plasmerà il finale di stagione del Napoli. Riscoprire la squadra divertendosi con il pallone è la vera missione da compiere per Calzona, già iniziata.