Conte e Lukaku: sassolini sfilati e scarpe che restano salde e pesanti
Due protagonisti che stanno scrivendo la narrativa di un calcio fatto di umiltà, lavoro e sacrificio, togliendo sassolini dalle scarpe, uno per volta, con il ghigno soddisfatto di chi sa che il fieno in cascina non è solo un modo di dire
C’è una tipologia di tifoso che non guarda il calcio, lo commenta. Che non vive le partite, le subisce per arrivare direttamente al post-gara, pronto a rigurgitare opinioni prefabbricate, statistiche mal digerite e insulti di circostanza. E così, ciò che stanno facendo Antonio Conte e Romelu Lukaku al Napoli è qualcosa che non solo va oltre le aspettative, ma distrugge con metodo e bel gioco il circo dello stereotipo e della superficialità che caratterizza i “tifosi da tastiera”.
Lukaku continua a zittire tutti
Prendiamo Romelu Lukaku, ad esempio. Lo stesso Lukaku che, prima ancora di scendere in campo, era stato etichettato come un "comodino". Un'etichetta vile e miope, frutto di una narrativa costruita da chi guarda il calcio con superficialità, senza saper cogliere il valore di un giocatore che ha dimostrato di essere molto più di un semplice finalizzatore. Un attaccante capace di trasformare il campo nel proprio regno, di tenere palla, creare spazi e diventare il fulcro di un sistema che sta funzionando in modo armonioso. Sarebbe bastato guardare le partite con un minimo di attenzione, ma è sempre più facile scrollare chat WhatsApp per sbraitare o impilare statistiche che si fatica a interpretare invece di ammettere di aver giudicato frettolosamente e in maniera impulsiva.
E poi c'è quel gesto, quel dito indice di Lukaku sul naso dopo il rigore trasformato. Non è stato solo un segnale contro il razzismo – che l’hanno perseguitato nel recente passato anche dai presunti tifosi che sedevano nel settore ospiti – ma anche una risposta a chi lo ha denigrato senza mai dargli una vera occasione. È un dito puntato - anche - verso chi preferisce il piacere infantile di dire "ve l'avevo detto" piuttosto che valorizzare razionalmente questa squadra.
Il Conte che va oltre le chiacchiere
E in quel dito c'è anche la rivalsa di Conte, il tecnico che, con pragmatismo e un'energia ineguagliabile, continua a sfidare le etichette di chi lo considera solo un “contropiedista”. Ma Conte non è solo sinonimo di riscatto e di una fiera rimozione dei sassolini dalle scarpe, è un catalizzatore di emozioni e un costruttore di identità. Basta guardare le dinamiche della sua squadra. L’abbraccio tra Di Lorenzo e Politano non è solo un momento simbolico: è la chiusura definitiva con i fantasmi della scorsa stagione. È il suggello di un gruppo che, finalmente, ha ritrovato compattezza e orgoglio. Politano, sfinito dopo aver lottato con tutte le sue forze contro Kolo Muani, è l'immagine di una squadra che non lascia nulla al caso, che gioca con cuore e sacrificio, e che balla insieme ai propri tifosi come una famiglia ritrovata.
E che dire di Anguissa, Simeone, Juan Jesus e Spinazzola? Sono loro i volti di un Napoli che incarna la passione e il lavoro di Conte. Anguissa, con la sua dedizione in ogni centimetro di campo, è il simbolo dell'abnegazione. Simeone, il toro instancabile, dimostra che l'anima può compensare ciò che la titolarità non copre. Juan Jesus, da riserva quasi dimenticata a pilastro improvvisato, sta dimostrando quanto conti la fiducia di un allenatore. E Spinazzola, il redivivo, sta vivendo una seconda giovinezza che nessuno avrebbe osato sperare.
Conte sta scrivendo una nuova narrazione: quella di un calcio fatto di umiltà, lavoro e sacrificio. E, nel frattempo, toglie sassolini dalle scarpe, uno per volta, con il ghigno soddisfatto di chi sa che il fieno in cascina non è solo un modo di dire, ma una filosofia vincente.
Conte non solo vince: insegna. Insegna a guardare oltre gli xG, le statistiche mal interpretate e i cliché stantii. Insegna che il calcio è fatto di uomini, di sacrifici, di storie personali che si intrecciano per creare qualcosa di più grande. E chi non riesce a vedere tutto questo farebbe bene a spegnere il telefono, alzare gli occhi dallo schermo e provare a guardare una partita, non per criticarla, ma per viverla. Perché il Napoli di Conte, oggi, non è solo una squadra: è una lezione di calcio e di vita.