Napoli è in rivoluzione permanente
Sull’onda lunga della Rivoluzione francese, a Napoli il 23 gennaio 1799 nasce la Repubblica Napoletana. La sua durata fu di 5 mesi e 20 giorni, un periodo in cui la città, insieme alle province del Regno, visse la sua fase repubblicana dopo la fuga di Re Ferdinando IV di Borbone a Palermo.
In questo breve periodo si consumò la storia di una generazione di intellettuali educati alla scuola di Giambattista Vico, Gaetano Filangieri e dell’illuminismo francese, che credevano fosse tutto da riformare e rivoluzionare attraverso una visione politica illuminata ed egalitaria.
A tutela dei ceti sociali più deboli fu abolito il dazio sulla farina e quello sul pane, annullati titoli nobiliari, privilegi di nascita e la feudalità e in fine elaborata una forma embrionale di Carta Costituzionale.
La neonata Repubblica durò pochissimo per la scollatura tra classe dirigente e popolo, i cosidetti “lazzari” che avevano contribuito alla sollevazione iniziale contro la monarchia.
In questo clima, ebbe gioco facile la restaurazione Borbonica attraverso le armate Sanfediste del Cardinale Ruffo che arruolava tra le proprie fila proprio quel popolo (lazzari) così poco pronto a una Repubblica.
La città storicamente ha sempre vissuto questa divisione in modo lacerante: non c’è una sola Napoli ma un insieme di più anime.
E in questa frastagliata realtà il Napoli Calcio rappresenta o avrebbe potuto rappresentare un elemento aggregante, lo scorso anno con quella fantastica cavalcata il club si è manifestato come un vero evento rivoluzionario in un sistema calcio nazionale cementificato su posizioni di egemonia e gerarchie consolidate da decenni.
Lo stesso gioco espresso era rivoluzionario, giovane, vivo e sorprendente. Figlio di scelte coraggiose e visionarie che la società aveva portato avanti avvalendosi di collaboratori eccezionali come Giuntoli e Spalletti unitamente al gruppo squadra.
Si sarebbe potuto aprire un ciclo
Aprire un ciclo avrebbe inevitabilmente fatto vacillare nicchie di potere costruite in decenni.
La restaurazione avviene indebolendo l’avversario, assoggettando i suoi dirigenti ai massimi livelli ed infine soffiando sul fuoco amico della base, ed in questo ha gioco facile per i motivi storici citati precedentemente.
Alle prime difficoltà si son manifestate tutte le crepe tipiche di una tifoseria non abituata a stare ai vertici, si è chiesta la testa di allenatori, calciatori ed ovviamente di Aurelio De Laurentiis; la cui maggiore responsabilità è quella di aver creduto che il sistema lo riconoscesse e lo accettasse come vincente, ha creduto negli uomini senza capire che a certi livelli devi necessariamente essere guardingo e diffidente proprio con chi ritieni amico.
In questo clima ha commesso errori strategici ed operativi, ma ha l’attenuante di essersi trovato isolato e non solo perché privato dei suoi più fidati collaboratori, ma anche perché il sistema dei media era intento a smantellare, con una narrazione funzionale alla ricostituzione dello status quo, l’idea stessa di Napoli campione d’Italia.
E’ passata una narrazione secondo cui lo scudetto fosse un evento eccezionale ed episodico, mentre l’allenatore scudettato si accasava in Nazionale ed il Direttore Sportivo andava da una diretta concorrente, entrambi ancora sotto contratto.
Il cammino è lungo e faticoso, ma dovremmo tutti fare sistema ed aggregarci attorno al Napoli, pensare che il “nemico” non è interno, restando uniti difficilmente prestiamo il fianco a facili strumentalizzazioni. Napoli è destinata a una rivoluzione permanente: è l’unica strada per scardinare il muro di gomma. Questo è un invito e per ora resta un sogno.