Osimhen, Calenda e l’intrigo di mercato
Tutti sconfitti. Ma con dei vincitori. Paradossale, certo. Ma è l'epilogo di questa triste storia, iniziata bene, continuata da sogno, finita male. Avidità, coerenza e coraggio gli attori protagonisti.
Victor Osimhen si accasa al Galatasaray, nella provincia europea del calcio che conta. Senza rinunciare ad un centesimo ma con opzione di rinnovo che il Napoli potrà esercitare in caso di mancata cessione in questo anno solare.
Osimhen che, ricordiamolo, aveva due offerte sul tavolo (Arabia e Chelsea). E poi Roberto Calenda, che avrà pensato che arrivare all'ultimo giorno utile di mercato avrebbe accontentato lui ed il suo assistito. Ma di fronte si è trovato un osso duro, un uomo che a 75 anni, dopo 60 anni di imprenditoria, ne ha visti di tutti i colori in ogni parte del mondo.
Osimhen: il film del trasferimento
Mettiamoci un attimo nei panni di Calenda. La sera del 30 agosto sembrerebbe essere il momento propizio: il Napoli ha investito 150 milioni di euro sul mercato senza incassare praticamente nulla. Ha bisogno di incassare i soldi della cessione di Osimhen. Necessariamente, per una questione soprattutto di equilibrio e di bilancio.
Quindi - secondo il procuratore - De Laurentiis, messo alle strette, avrebbe accettato anche metà clausola (65 milioni di euro), mentre al nigeriano sarebbero andati la bellezza di 160 milioni netti in 4 anni, più lauta (eufemismo) commissione per l’intermediazione nella trattativa.
Ed è qui che il Napoli, nella figura del presidente, mostra forza, coraggio, determinazione. Soprattutto coerenza, come ribadito anche da Antonio Conte nel post Parma. Rinuncia ai 65 milioni arabi perché ritenuti pochi rispetto ai 160 al calciatore. Lo sfizio, anche, di ribaltare il tavolo a seguito di un atteggiamento spocchioso, avido, sbagliato. Dimostrando coerenza con il discorso - ribadito a suo tempo anche in Senato - relativo ai procuratori nel calcio di oggi.
Il Napoli in quel momento avrebbe accettato più o meno le stesse cifre da parte del Chelsea; il terzo protagonista della vicenda. Solo che gli inglesi non hanno soddisfatto le richieste di Calenda come ingaggio al calciatore. Se Osimhen avesse forse dimostrato l’assoluta voglia di rilanciarsi, i londinesi sarebbero stati la migliore opzione per lui. Ma l'ormai ex attaccante del Napoli non ha accettato 7 milioni di ingaggio + bonus.
Dopo 2 giorni e il fantasma di un anno in tribuna, Calenda e Osimhen accettano il campionato turco. Sono costretti ad acconsentire all'opzione di rinnovo.
Un messaggio forte
In due mosse, fatte con coerenza, il Napoli da posizione di svantaggio in cui si è trovato per 14 mesi, dopo il grande errore della sua mancata cessione per ben 150 milioni di euro, è passato in una posizione di dominio assoluto. Mandando segnali chiari e forti a tutto il sistema calcio. E cioè che i cartellini dei calciatori sono di proprietà dei club. E i club decidono tutto quello che gira intorno ad un calciatore. Se venderli, tenerli, metterli in tribuna, se meritano o meno un rinnovo e quando.
Che le figure dei procuratori, se si ha il coraggio, possono tranquillamente essere depotenziate dando loro molta meno importanza rispetto a quanta ne hanno. Che i soldi non sono tutto nella vita, perché esiste la dignità. Che il Napoli è un club forte, che ha credibilità, che ha coraggio, che ha serietà. Il messaggio finale è potente. Il più potente da anni e anni nel calcio.
Il Napoli ha dato per 14 mesi la sensazione di uscirne con le ossa rotte dall'affare Osimhen, risultato di una serie di errori gravi. Ma Aurelio De Laurentiis quegli errori li ha accettati e metabolizzati. Ne ha fatto tesoro. E appena ha avuto la possibilità, ha rotto gli indugi. Ha stravolto le carte. Ha ribaltato il tavolo. Dimostrando che dagli errori si impara. Si migliora. E si può pure gongolare. Anche a 75 anni.
Tutti sconfitti. Ma con un vincitore. E il suo nome questa volta è evidente.