Ce sta 'o Miracolo e 'o miracolo
Esistono due modi di interpretare la vita: uno come se niente fosse un miracolo; l’altro come se tutto fosse un miracolo.
Questa splendida quanto profonda citazione mette in relazione due geni contemporanei che, apparentemente, avevano in comune soltanto una chioma fluente e i cui nomi vi svelerò soltanto alla fine di questo pezzo.
Prima di arrivarci, tuttavia, è necessario seguire un percorso, il cui punto di partenza è la definizione di metodo scientifico, ovvero quella serie di caratteristiche che un esperimento deve possedere affinché i suoi risultati possano essere considerati accettabili e condivisi dalla comunità scientifica. Questo metodo non è altro che la spiegazione che la Scienza trova, seguendo delle regole precise, per certi fenomeni altrimenti incomprensibili.
Il ragionamento che sottintende il metodo è dunque, se riflettete, molto profondo: Tutto è potenzialmente spiegabile per la Scienza. Non esiste l’inspiegabile, ma soltanto il “non ancora spiegato”.
Per la Scienza, appunto.
Poi c’è la Fede.
Da Maradona a Spalletti: dalla Fede alla Scienza
Per chi invece abbraccia la Fede che – casualità – è la stessa parola che viene utilizzata in relazione al tifo per una squadra di calcio, c'è una parola molto precisa per descrivere un fenomeno che sovverte ogni regola, ogni metodo, ogni possibile spiegazione. Un solo termine che definisce l’inspiegabile e l’irripetibile: Miracolo. E qui entra in gioco la citazione di inizio articolo.
Infatti, uno dei pochi punti sui quali si poteva trovare accordo tra la narrazione che di Napoli e del Napoli si fa all’interno delle mura cittadine e nel resto d’Italia è quello che affermava che vincere a Napoli fosse appunto un miracolo o, se non vogliamo cadere nel metafisico, quantomeno un’eccezione.
In tal senso non si può negare che un contributo decisivo a questa narrazione l’abbia dato Maradona che, a seconda del grado di blasfemia che gli volete assegnare, può essere visto come appunto una magnifica eccezione oppure come l’incarnazione calcistica del Messìa: l’unico essere, a metà tra l’umano e il divino, che ha saputo portare il Titolo in città. La mano di Dio è una sintesi perfetta di questo concetto.
Nella seconda fase dell’era De Laurentiis, tuttavia, questa descrizione ha iniziato a vacillare, a diventare stretta al Napoli; eppure, allo stesso tempo, ha tratto ancora maggior vigore.
Se da un lato il Napoli è sembrato sempre più vicino a sovvertire questa realtà fattuale, il riuscire a vincere senza doversi appellare ad un evento o personaggio ultraterreno, dall’altro il puntuale verificarsi di fatti che, in un modo o nell’altro, hanno sempre negato la gioia definitiva, sembrava rafforzare sempre più quest’ipotesi. Un po’ come il paradosso di Achille e la Tartaruga: la distanza da colmare tra gli Azzurri e la vittoria era sempre più breve, ma sempre irraggiungibile. Molte volte mi sono trovato a canzonare addetti ai lavori più o meno famosi che, a inizio anno, prevedevano che il Napoli, alla fine, non avrebbe vinto lo Scudetto: caspita, che pronostico coraggioso!
Poi è arrivata la stagione 2022-23 ed il Napoli di Spalletti, un allenatore la cui fallibilità dei grandi traguardi era diventata quasi un marchio, un fastidioso stereotipo.
Questa stagione, a meno di interpretazioni parziali, ha sancito una verità inconfutabile: no, signori, non è vero che a Napoli tutto è un miracolo.
La realizzazione finale del sogno Scudetto è stata l’applicazione perfetta del metodo scientifico applicato al Calcio. Del fallisci bene, fallisci meglio e di come il fallire possa essere propedeutico al successo, come tanti hanno provato a spiegare in tutti gli ambiti da decenni, da Samuel Beckett a Steve Jobs fino all’intelligente discorso di Giannis Antetokounmpo. Ci aveva provato anche Massimiliano Allegri sabato scorso, dimostrando però di non aver capito ancora granché il significato.
Insomma, il cercare, anno dopo anno, errore dopo errore, le tessere giuste per l’incastro perfetto, è l’essenza della scientificità di un metodo. E non serve nessuna mano divina – nessun atto di fede – ma soltanto fiducia, parola estremamente umana, nella correttezza del proprio operato, al di là dei risultati a breve termine.
Un nuovo inizio
Il Napoli, con lo Scudetto, celebra la fine di un percorso programmato da oltre un decennio. E, così come per gli scienziati, la naturale fine di un esperimento coincide con l’inizio di uno successivo, allo stesso modo il tricolore rappresenterà l’inizio di una nuova fase, di una nuova programmazione per nuovi traguardi. Per andare a cercare nuove risposte, chissà, magari proprio in ambito europeo.
Non ci illudiamo, tra i media nazionali e forse ancora di più tra quelli locali, probabilmente in misura ancora maggiore tra gli stessi tifosi, continuerà ad esistere la narrazione dell’ “ora o mai più” che ha accompagnato diverse generazioni. Lo abbiamo vissuto con il Napoli di Mazzarri, Benitez e Sarri. Ogni volta era l’ultima chance per conquistare il Titolo ed ogni volta siamo stati smentiti dal ciclo successivo, che è andato ancora più vicino di quello precedente alla meta. E anche quest’anno, addirittura quest’anno con un campionato stracciato a gennaio, la stessa disperata conclusione ha trovato terreno fertile in campo europeo, accompagnando le fasi finali del nostro cammino in Champions League con la litania: “se non siamo andati in finale quest’anno, con questo tabellone, non succederà mai più”.
Per alcuni la vittoria del Napoli è ancora vista come un incidente. Per coloro che non amano questi colori, quest'interpretazione è forse una speranza. Ma, se ci si vuol limitare ai fatti, è una pietosa bugia, volta ad esorcizzare una scomoda verità: e se Napoli avesse davvero imparato a vincere?
Beh, se è davvero così, allora capirete che vincere a Napoli non è mai stato un miracolo, non è mai stata una Grazia che solo il Signore può concedere, come la mano – ancora lei – che deve ricrescere ad uno dei personaggi di Ricomincio da Tre, ovvero l’apparizione di qualcosa che non si possiede e che arriva all’improvviso, dal nulla.
Questo perché chi crede nelle proprie forze e potenzialità non può accettare che esista “o’ Miracolo” detto con le braccia alzate ed urlando, e "o’ miracolo" da quattro soldi. Da cento punti o da cinquanta punti.
O si crede al Miracolo e basta, o non si crede per nulla. Lo diceva Albert Einstein – è sua la citazione iniziale – e lo ha ripetuto, a modo suo, Massimo Troisi. Due geni che qualcosa della vita avevano capito.
Ecco, infine, svelati i due nomi: il percorso, seguito con coerenza e fiducia, ci ha condotti insieme alla logica conclusione.
Vale per questo pezzo e vale per il cammino del Napoli. Abbiamo finalmente imparato come si fa.
Buono Scudetto a Tutti.