Mettetevi nei suoi panni. Avrebbe detto qualsiasi cosa pur di rientrare nel giro.

Per uno come lui, un tempo uno dei top allenatori in circolazione, sarà stata davvero dura essere costretto a una pensione anticipata.

Per un sanguigno come lui, uomo di campo, rilassarsi davanti al mare della sua San Vincenzo sarà risultato gradevole un paio di settimane. Un mese al massimo.

Poi, probabilmente, la testa ha cominciato a fare i giri in cerca dei suoi perché. Si sarà chiesto, tra una briscola al bar con gli amici e l’ennesima partita davanti alla tv, dove ha sbagliato, in quale momento è cominciato il tracollo.

Accettare quell’Inter che “di glorioso aveva solo la maglia?” Le troppe scuse che lo hanno trasformato in un meme vivente? L’avventura al Watford, in un paese in cui non è mai riuscito a imparare la lingua?

Eppure quel primo anno col Torino qualche soddisfazione se l’era tolta. Sembrava poter tornare a essere quello di un tempo…

Il Cagliari! Quel Cagliari era stato senza dubbio la pietra tombale sulla sua gloriosa carriera.

Ormai neanche ci pensava più a rientrare. Era così fuori dai giochi che nemmeno veniva più nominato nella possibile cerchia di sostituti quando in Serie A saltava una panchina.

Masticava amaro Walterone, imprecando contro un destino infame che si era accanito contro di lui. Lui, maestro della tattica, relegato a passare l’aspirapolvere in casa. Lunghe passeggiate sulla spiaggia pur di sottrarsi alle cazziate della moglie. Era passato pure alla sigaretta elettronica pur di evitare storie, ma la convivenza, soprattutto a una certa età, si fa sempre più difficile.

Nel suo intimo, però, sognava un ritorno in grande stile. Sognava di poter dire “Avete visto? Vi eravate sbagliati tutti! Adesso vi faccio vedere io chi è davvero Walter Mazzarri!

Eppure si era messo il cuore in pace.

Fino al 14 giugno. Giorno dell’annuncio di Rudi Garcia come nuovo allenatore del Napoli.

Un colpo basso. Bassissimo. Un tecnico emergente, un Motta, un Italiano, un Palladino, lo avrebbe accettato pure. Di un grande nome, un Conte, un Klopp, un Luis Enrique, se ne sarebbe fatto una ragione. Ma Garcia no. Garcia era un pensionato come lui. Lo avevano cacciato addirittura dall’Arabia.

Perché Garcia sì e lui no?

Sarà mica stato per quella storia del 4 3 3? Possibile che il presidente, quell’Aurelio con cui è rimasto in ottimi rapporti e si dà del tu, se la fosse bevuta?

Ed è in quel momento che ha pensato al grande ritorno. Guardando il mare di San Vincenzo, tra una briscola e una partita davanti alla tv, ha pensato che forse, se la situazione fosse precipitata, chissà…

Certo, ci voleva un colpo di genio.

Ma in fondo cos’è il genio?

È fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione.

“Pronto Ivan, sono il tuo amico Walter. Me la fai un’intervista in prima pagina sul tuo Corriere?”

Ed ecco confezionata la storiella del “ho studiato a memoria il Napoli di Spalletti”.

Quell’ingenuo di Garcia non lo conosceva? Ed ecco che il buon Walterone rilancia urlando a quattro colonne che invece si è aggiornato, lui. Di notte, altro che sonno: a ripetere all’infinito le sovrapposizioni, le catene di destra e sinistra, l’intensità di quel Napoli che ha fatto la storia e lui può riproporre a occhi chiusi.

In fondo in fondo non ci crede neanche lui. Da sempre luminare del 3 5 2, esterni a tutto campo, verticalizzazione e vai di ripartenze, si rende conto che forse l’ha sparata grossa.

Ma dopo Garcia, in evidente stato di confusione, il Presidente persevera, affidandogli le chiavi del Napoli.

Tra i tifosi c’è chi, travolto da botta di nostalgia, si entusiasma e chi, invece, si deprime, pensando che per andare peggio dovrebbe solo piovere, riferendosi ad una delle sue più gloriose citazioni.

Il Mazzarri 2.0 si presenta carico a pallettoni: asciutto, tirato a lucido, afferma che non cercherà più alibi ed è contento di essere tornato nella piazza che gli è rimasta nel cuore.

Dopo la vittoria di Bergamo e gli abbracci della squadra sembra, per un attimo, di assistere a quei film che vanno tanto al botteghino: allenatore underdog, burbero, dimenticato dal grande calcio, che viene richiamato da un presidente pazzo e a corto di idee con un contratto mal pagato e a breve termine. Lui richiama il suo vice, esonerato ovunque, e il vecchio staff e la cosa, grazie ai suoi discorsi che toccano il cuore nella pioggia di Castelvolturno, funziona. La squadra torna a girare e arriva persino a giocarsi lo scudetto.

La realtà, purtroppo, è un’altra.

Il buon Walterone si ritrova invischiato in un guaio che forse nemmeno il miglior Guardiola riuscirebbe a sbrogliare. 

Del resto la colpa non è sua, ma di chi ha pensato che sarebbe bastata una semplice passata di straccio per levare via la ruggine.

Ma lui non molla.

Non ci pensa proprio.

A chi gli chiede l’esonero o le dimissioni, neanche risponde.

Stringe i pugni, digrigna i denti, una boccata nervosa alla sigaretta elettronica.

Cerca qualche scusa, come ai bei tempi.

Ancora un giro di giostra, un’altra botta di adrenalina.

L’ultimo ticchettio sull’orologio.

Prima di tornare a guardare il mare di San Vincenzo.


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