È difficile restare razionali in certi momenti. Il rischio è quello di provare a darsi una spiegazione a tutti i costi. Abbandonandosi alla retorica populista di chi sente di dover individuare un colpevole. Un martire da sacrificare sull’altare della disperazione.
Il Maradona ha salutato questo 2023 tra i fischi. Un corredo sonoro degno della prestazione incolore proposta e che stride col travolgente entusiasmo vissuto nei primi sei mesi dell’anno.

Ed è stato nel ventre dell’impianto che il Presidente Aurelio De Laurentiis ha sentito il bisogno o la necessità di rivolgersi alla tifoseria azzurra. Una piena assunzione di colpevolezza. Forse il disperato tentativo di non caricare, sulle malandate spalle di tecnico e giocatori, un peso che diventa ad ogni giornata sempre più insostenibile.

Una discesa lenta e inesorabile in classifica. Che ha spinto la squadra campione d’Italia fuori dai piazzamenti europei. Ma le parole non possono bastare. Perché se la componente mentale è un fattore che parzialmente dipinge il momento, la necessità di intervenire sul mercato ha un valore tutt’altro che trascurabile. Bisogna liberarsi delle scorie di spogliatoio. Salutare gli scontenti e accogliere rinnovate motivazioni.

Un’operazione non semplice. Il mercato di riparazione non si applica alle rivoluzioni, soprattutto se lo si fa con un occhio al bilancio.
Ma il quarto posto, nonostante i 7 punti nelle ultime 7 giornate, resta una concreta possibilità. Soprattutto perché le antagoniste non sono né attrezzate né abituate a lottare per un simile traguardo.

Investire energie nervose per provare a trovare una spiegazione è affare cervellotico. Un inutile spreco. Mentre ti guardi indietro il presente ti scivola tra le mani. Proiettarsi al futuro resta l’unico modo per ritrovare la strada del successo. L’ambiente smetta di rimpiangere chi ormai riteneva chiusa la propria avventura a Napoli. Squadra e tecnico si guardino negli occhi e con sincerità scelgano se abbracciare o meno il progetto. E De Laurentiis abbandoni l’idea di raccontare la “propria verità”.

Contro il Monza la tifoseria ha regalato l’ennesimo sold-out. Un attestato di sostegno mortificato dalla miseria tattica e di emozioni che gli oltre 90 minuti di gioco ha proposto. E a chi ha preferito il gelo di Fuorigrotta, al calore della famiglia in questi giorni di festa, non interessa una verità. Per loro contano le maglie sudate. La voglia di darsi sul rettangolo verde. Il risultato resta un’appendice. La vittoria un premio effimero se non è accompagnato dal sacrificio.

Contro il Toro di Ivan Juric gli azzurri saluteranno un anno che resterà comunque nella storia. Ma lo sport, come la vita, si nutre di momenti fugaci. Intensi come il battito d’ali di farfalla. Dove la riconoscenza verso il passato lascia ben presto il posto al successivo obiettivo.

Vincere conta solo per chi non ha altro da offrire o per chi crede che uno triangolo di stoffa cucito in petto sia il limite delle proprie ambizioni.