Napoli, l'attesa dello Scudetto è essa stessa lo Scudetto
Lo scrittore tedesco Gotthold Ephraim Lessing diceva che l’attesa del piacere è essa stessa piacere. Sarà per questo che, adesso che mancano una manciata di giorni a quello che ci renderà ufficialmente Campioni d’Italia, vorrei poter rimandare questo istante all’infinito.
Non sono impazzito sia chiaro, ma è da quando in me si è insinuata la certezza che questo sia veramente l’anno buono che non faccio altro che pensare a tutta la strada fatta per arrivare fin qui. A come quel ragazzino, che giocava in un campetto di terra battuta a pochi metri da casa, sia diventato l’uomo che è oggi, sempre e solo con l’azzurro nel cuore e negli occhi.
Da Fonseca a Raspadori, passando per l'abbraccio di Cannavaro a Taglialatela
Per chi, come me, è nato ad inizio anni 80, essere tifosi del Napoli ha significato vivere solo di riflesso il periodo magico di Diego. Avevo solo nove anni, ad esempio, quando vincemmo il secondo scudetto e i ricordi sono quelli di un bambino, portato a spalle per le vie di Napoli, trascinato da una marea azzurra e che guardava con occhi meravigliati la città imbandierata. Momenti brevi e che sono stati presto sostituiti da anni difficili, con una squadra che sfioriva di anno in anno, perdendo i suoi campioni come i petali di una rosa appassita.
Ricordo quando la matematica ci condannò alla retrocessione al Tardini, con Taglialatela e Cannavaro, allora al Parma, che in lacrime abbandonavano il campo consolandosi. Le partite in serale del Napoli di Novellino, vinte con le prodezze di Schwoch e Stellone, passate in Curva con l’amico di sempre. L’illusione di una squadra di nuovo vincente che Corbelli e Ferlaino provarono miseramente a rifilarci e poi quell’agonia, quella lenta, ma inesorabile agonia vissuta in un S.Paolo diventato terra di conquista fino al tragico fallimento.
Un viaggio meraviglioso, fortunato chi se l'è goduto tutto
Potete immaginare quindi come nel 2004, quando De Laurentiis divenne Presidente, l’unica cosa che desideravamo era tornare in Serie A. Giocare la Champions era più di un sogno, figuriamoci vincere lo scudetto, quello che volevamo era tornare a calcare l’erba di S.Siro, rivivere i derby del sole all’Olimpico e perché no, toglierci lo sfizio di battere la tanto odiata Juventus.
E quindi se ora chiudo gli occhi non rivedo le prodezze di Victor o Kvara, ma posso sentire il brivido della prima sofferta vittoria firmata da Varricchio, l’incredibile rimonta nel recupero col Foggia con i gol di Pià e Scarlato, il tiro al volo di Consonni col Teramo. Possibile che non riesca a pensare ad altro? Una vita passata a sostenere la maglia azzurra e quello che ricordo è il gol di Rastelli in un Avellino-Napoli 2-0, passato da imboscato nella curva biancoverde, la macchina in panne di ritorno da una trasferta a Martina Franca, la foto che mi ritrae festante dietro il Pampa Sosa in una prima pagina del Corriere dello Sport durante Benevento-Napoli.
Quanti anni sono passati, una vita che riesco a mettere in ordine ripensando alle stagioni del Napoli, alle domeniche passate a sognare sempre un passo alla volta. Come quando la sera dell’esordio in Champions a Manchester mi venne da piangere durante l’inno, perché solo in quel momento capii dove eravamo. Può sembrare ridicolo a chi ha qualche anno in meno e crede che lottare per il titolo o giocare le coppe europee sia qualcosa di normale, di dovuto, ma credetemi per noi non lo era.
Altro che Coppetta Italia, la sera della prima finale con la Juventus di Conte mi tremavano le gambe, non riuscivo nemmeno a seguire la partita e oggi vincerla a qualcuno potrebbe non dar nemmeno gusto. E invece io mi meravigliavo di tutto, non ero più un adolescente; eppure, vivevo tutto come un bambino che veniva portato per la prima volta al Luna Park. Certo abbiamo vissuto anche delle delusioni, ma ci avevamo fatto il callo, eravamo vaccinati e niente poteva farci crollare, nemmeno uno scudetto negatoci a furia di ingiustizie.
Che viaggio meraviglioso è stato, me lo sono goduto tutto, da quando ho un ricordo consapevole della prima partita vista allo stadio contro la Roma di Mazzone, con Fonseca su rigore a pareggiare l’iniziale vantaggio di Abel Balbo, fino al gol di Raspadori vissuto sugli spalti dello Stadium, esultando tra le facce tristi degli juventini prima di correre sotto la pioggia fino al parcheggio diretto a casa. Ed è un viaggio che non terminerà domenica, quella sarà solo una sosta lungo il percorso, come quando trovi una piazzola e scendi dall’auto per goderti il panorama. Perché da lunedì ci si rimette in marcia, aspettando un’altra piazzola, senza conoscere la meta e senza nemmeno preoccuparsene. Perché quando lungo il tragitto hai accanto la maglia che ami non conta la destinazione, ma il viaggio.