Oggi sarò trasversale. Voglio provare a portarvi in profondità delle cose.
Per farlo, comincerò dalla fine.

Conoscete la storia di Billie Holiday?
Cantante afroamericana nata nel 1915 a Philadelphia. Un periodo storico davvero tosto per una donna, specie per chi aveva origini afroamericane. La vita le è da subito difficile, complicata dalla povertà e dal dramma dello stupro subito ad 11 anni.

Billie trova però il coraggio di denunciare l’accaduto, peccato che, come spesso accadeva all’epoca, la donna di colore non era creduta. Anzi, venne condannata a 2 mesi di riformatorio per adescamento.

Ad un certo punto, la madre decise di trasferirsi per lavoro a New York. La bimba venne affidata ai nonni e ad una cugina della madre. Ovviamente non ricevette un trattamento amorevole, neanche in famiglia.

Una volta cresciuta, raggiunse la madre, e per guadagnarsi il pane si prostituì in un locale dove si dilettava anche con il canto. Finalmente notata da un produttore, sarà tra le prime nere ad esibirsi con musicisti bianchi.

Raggiunta la ribalta, Billie, dovette fare i conti con le cattive abitudini che, purtroppo, spesso condizionano lo stile di vita di chi gode del proscenio come l’alcol e la droga ma non smise mai - letteralmente mai - di condannare e combattere il razzismo della propria gente, anche con pezzi forti, ne ricordiamo uno in particolare: strange fruit, che racconta di un uomo di colore ucciso ed appeso ad un albero.

Billie siamo noi. Billie è il nostro paese, i nostri figli, il nostro passato. Napoli è Billie. Non fermiamoci al colore della pelle. Andiamo in profondità.

Parliamo del cyberbullismo, parliamo del classismo, parliamo della discriminazione territoriale, parliamo dell’unità d’Italia e dei torti subiti dal meridione. Il male da abbattere è questo. Ed è tutto legato in profondità ad una sola parola: razzismo. Di ogni specie, di ogni forma. Non solo legato alla semantica spicciola del termine in sé. E lo specchio di tutto questo lo possiamo osservare in ogni manifestazione quotidiana, soprattutto quando i pavidi si aggregano.

Arriviamo, per induzione, alla domenica di campionato.

Ho visto la partita su Sky. Ad inizio match hanno sottolineato di come Osimhen abbia colpito un tifoso con una pallonata nel riscaldamento, andando poi a sincerarsi delle condizioni (cosa non da tutti) ha subito un ovazione positiva di tutto lo stadio. Bello.

Ma perché non si è parlato anche del clima vergognoso che c’è stato per oltre 90 minuti contro Spalletti, Napoli e gli stranieri?

Se il calcio italiano fosse davvero in fase di evoluzione, la prima cosa da fare sarebbe fermare Di Bello che a La Spezia non ha sospeso una partita che si stava giocando in un disgustoso clima razzista.

Napoli e le sue dirette espressioni, calcio, cultura, turismo: sono attaccate perché probabilmente inarrivabili? Ditemelo voi, miei cari mass media d’autore.

Con la narrazione nazionale però siamo d'accordo per un aspetto: è un campionato ormai mediocre, dove ogni club è costretto a cedere i propri gioielli. Sono d’accordo pure con Marotta, il quale potenzia questo concetto: “I tifosi si abituassero a questa mediocrità, saremo costretti a cedere”, tutto perfetto, vero.

Ma ovviamente voi tifosi del Napoli statevene tranquilli beati e felici. Perché tutto questo non riguarda voi. Siete gli unici, da sempre, che potete veder comprare o vendere quando vi pare e piace. È stupendo vedere che il calcio Napoli si disfa anche del calciatore più rappresentativo senza colpo ferire. È segno di potere assoluto questo.

Nessuno può permetterselo. Noi stiamo praticando un altro sport. Siamo troppo per un sistema ormai morto e sepolto.

Il nostro palcoscenico è l’Europa che conta. I nostri rivali sono il Liverpool (che abbiamo surclassato) o le altre top continentali.

Probabilmente sarà vero: Napoli è un mondo a parte, abbiamo qualcosa in più.