Nelle ultime settimane, a seguito dell’inchiesta Prisma che vede coinvolta la Juventus per presunte irregolarità di bilancio, i mainstream si sono adoperati affinché per gli indagati vigesse, nel rispetto del diritto di difesa, il principio della presunzione di innocenza.

Poco importa se gli stessi protagonisti sono stati intercettati mentre provavano a districarsi tra una “supercazzola” e l’altra o venivano colti da improvvisi conati di vomito. La carta dei diritti fondamentali dell’unione europea è chiara e all’articolo 48 recita testualmente: “Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata”.

Un principio nobile e che nessuno si sognerebbe mai di mettere in discussione, ma qual è il confine tra il farsi portavoce di un diritto insindacabile e il fanatismo garantista? Ovviamente lasciamo ad ognuno la libertà di scegliere la risposta che ritiene più giusta, anche se per alcuni è la convenienza a muovere il proprio giudizio.

Se c'è il Napoli di mezzo, non c'è garantismo

Purtroppo, a Napoli abbiamo un brutto vizio: quello di avere buona memoria e legarci le cose al dito. E quindi all’ombra della Mole ci perdoneranno se leggere che “solo magistrati e avvocati in un processo potranno accertare il corretto operato del Cda presieduto da Agnelli” ci fa balzare dalla sedia.

Eppure, ricordiamo cosa successe e - soprattutto - cosa fu scritto quando il Napoli, bloccato dalla ASL, non partì per Torino. Dichiarazioni dove gli avversari si professavano rispettosi delle regole, giudici sportivi che mortificavano la società partenopea con un netto 3-0 a tavolino e 1 punto di penalizzazione, ma soprattutto le accuse reiterate di una fetta importante di stampa che, senza tanti fronzoli, etichettava gli azzurri come disonesti ed evasori del principio di lealtà che dovrebbe accompagnare lo sport.

Alla fine ci pensò il Collegio di Garanzia del CONI a fare Giustizia il 22 dicembre 2020, restituendo al Napoli il maltolto e imponendo che la partita fosse giocata. Furono però tre mesi duri, di attacchi continui e che non si placarono nemmeno dopo la pubblicazione della sentenza.

Quindi fa specie sapere che oggi, proprio chi dice di aspettare che sia la giustizia ad esprimersi nel merito e che attendere la sentenza è un atto di democratica civiltà, qualche mese fa era tra i più accaniti sostenitori del processo mediatico e sommario, accecato da una sorta di garantismo alla rovescia.

Perché in fondo tutti sono garantisti fino a quando non si mette piede nel loro orticello. Garantista si, ma a intermittenza.