Certi momenti bisogna viverli, e probabilmente il miglior modo per farlo è senza parole, perché diventa troppo dura concentrare anche una minima parte dell'emisfero razionale del cervello nel formulare frasi di senso compiuto quando la parte emotiva è così piena, gonfia, come una spugna intrisa d’acqua. O, forse, l’unico modo per poter parlare è quello di andare a memoria, ripetere frasi come cantilene. Ecco il perché dei cori probabilmente.

Un giorno all’improvviso, 'O surdat' nnamurato, Sarò con te, I campioni dell’Italia siamo noi, finanche a Vesuvio Erutta. Parole mandate a memoria, da alternare con le semplici e naturali urla di gioia.

Pura gioia, tutto ciò che abbiamo vissuto. Nonni, genitori, figli (non vi nascondo che girare per le strade della città con la mia pargola di 5 anni sulle spalle, trasformatasi in capoultra con tanto di mascherina, lo conserverò nei miei ricordi più preziosi), Napoli in quest’ultima settimana ha mostrato la parte migliore degli stereotipi che la riguardano.

Se da un lato gli odiatori seriali (alcuni anche calciatori illustri ora opinionisti) si sono dovuti davvero affannare nel cercare quei pochissimi episodi spiacevoli – impossibile non averne in un popolo che conta milioni di abitanti – dall’altro le immagini della festa, dello show direbbe il presidente ADL, dentro e fuori dal campo hanno invaso letteralmente i canali di tutto il mondo.

Napoli è uno Stato

Alla fine, è questa la differenza che ha spesso attirato gli occhi e le invidie su di noi. Uno Stato nello Stato, molto più di quanto possa esserlo San Marino o Città del Vaticano, che pure geograficamente risultano inscritte nel territorio italiano, ma che, non ce ne vogliano, non possiedono l’imprinting culturale con il quale si nasce, volenti o nolenti, dalle nostre parti.

Chiariamo: non si parla di riscatto sociale, non mi interessa dare un significato politico ad una vittoria sportiva. Anzi, non sto nemmeno disquisendo della vittoria in sé, ma proprio degli effetti emotivi che essa produce.

Qui si parla proprio di gioia, ve lo ripeto.

Napoli è uno Stato d'animo.

Napoli sta esplodendo in questo periodo. Da un anno abbondante è una delle mete più ricercate dai turisti. E forse non è un caso che quest’esplosione sia giunta proprio dopo la pandemia, l’evento più triste e inaspettato dell’ultimo ventennio, che ci ha costretti a restare separati, a reprimere le nostre emozioni più forti, a demonizzare la condivisione.

Arrivano da tutte le parti, non solo per l’arte, il cibo, il mare e il sole. Contano, certo, ma contano meno. Qui vengono per gioire. Per emozionarsi. Ma, pensateci un attimo, a quale lusso abbiamo: quale altra città nel mondo può vantare il primato di essere scelta da un forestiero per un motivo così?

Ha provato a farcelo capire Spalletti nella conferenza stampa, pre Udine, quando ha detto “voi non capite quanto è bella Napoli vista con gli occhi di un ospite". E ci ha provato anche Salemme, con un lungo post scritto sui suoi canali social a ridosso del trionfo e che vi consiglio di andare a cercare.

Come ti senti? Mi sento Napoli.

Ieri abbiamo vissuto una domenica fatta, come spesso accade in Italia, di cori razzisti, di giocatori che provano a ribellarsi a questi e vengono ammoniti, di allenatori – sia quello della squadra insultante che addirittura quello del giocatore insultato – che derubricano l’episodio, facendo quasi passare la vittima per vittimista. Una dicotomia incredibile con quanto accadeva nel nostro rettangolo di gioco, dove un coreano saltellava e urlava in italiano, un argentino cantava con gli occhi chiusi We are the Champions, un nigeriano invitava un magazziniere napoletano a ballare davanti a 60mila persone – sotto le note della soundtrack di un film premio Oscar – un balletto di dubbio gusto. Gioia che avvolgeva altra gioia, gioia a volte goffa, come solo quella pura ed ecumenica può essere.

Napoli è uno Stato d’animo. Ed è per questo che tutto può essere Napoli, non soltanto Napoli.

Ed è per questo che, durante questa settimana, a chi mi chiedeva come mi sentissi, io rispondevo sempre la stessa cosa: mi sento Napoli.

E allora, se ci penso, aveva ragione il signor Bellavista, quando pronunciava quella frase ancora straordinariamente attuale:

In un mondo pieno di missili e di bombe atomiche, io penso che Napoli sia l’ultima speranza dell’umanità per sopravvivere.