Il metodo Spalletti: un metaverso che allena l'anima
Il turn over è un concetto di cui conosciamo spaventosamente poco. Il metaverso di Spalletti permette a ogni calciatore di accumulare minuti anche stando seduto in panchina: Simeone, Raspadori e Ostigard non hanno titolarità del ruolo, ma non lo sanno e ieri, contro i Rangers in Champions League, hanno performato lo stesso.
Mark Zuckerberg
In futuro, i neo medici potranno fare pratica eseguendo operazioni chirurgiche grazie a visori 3d e bisturi analogici, su corpi virtuali. Un enorme passo in avanti per la medicina e per l'umanità.
Quest'anno, l'area tecnica del Napoli ha rivoluzionato i fondamenti del principio delle rotazioni. Chi subentra non ha più il solo scopo di far riposare il titolare del ruolo e non è tenuto a scimmiottare i dettami tattici del primo. La rosa è stata costruita in modo omogeneo, ma trasversale. Nessun doppione puro, ma diverse interpretazioni del ruolo.
Il lavorone di Spalletti è stato quello di convincere ogni singolo calciatore di essere il titolare dei suoi minuti. Per farlo, non si è servito solo di una buona retorica. Ci è riuscito grazie ad uno sviluppo modulare dei vari piani partita, cuciti sui punti di forza di ogni singolo componente in rosa. E questa è la parte che i suoi calciatori possono toccare con mano. Qualcosa di fisico, la parte reale del metodo.
Spalletti e il superamento dei ruoli
Sono spariti i ruoli tradizionali e gli schemi. Esistono solo gli spazi da dominare con le proprie caratteristiche. Il gruppo è unito perché non vive una snervante competizione interna. Sono tutti consapevoli della loro conclamata irripetibilità tecnica.
Le gerarchie sono sparite. Non esistono unità di misura per determinarle. Non i minuti giocati, non gli ingaggi, non l'anzianità. I senatori sono delle divinità che appartengono al vecchio testamento. Il nuovo è fatto di uomini che rendono divino il proprio margine di miglioramento futuro, dal quale già attingono a piene mani.
E' in questo mondo virtuale che operano gli azzurri. Una realtà che è stata costruita per allenare la testa. Così accade che Simeone, dopo aver deciso il match di Cremona, resta in panchina per 270' (Ajax - Bologna - Roma) a visualizzare e progettare la doppietta che ha deciso la dodicesima vittoria consecutiva di questa stagione.
Oppure che Ostigard, dopo la buona prova del 1 settembre contro il Lecce, non veda quasi più campo, cosa che non gli impedisce però di imporsi e segnare il ventesimo gol europeo degli azzurri.
Anche la prestazione di Raspadori lascia un'eredità importante a noi osservatori: si può non essere Kvaratskhelia, ma dominare il ruolo ugualmente, basta immaginarsi lì quando non giochi. E Jack si è immaginato che, pur partendo da sinistra, venisse nel campo a fare quello che meglio gli riesce. Ha cucito il gioco come se giocasse da trequartista, ma ha anche attaccato il secondo palo quando Politano spingeva sulla destra. E avrà immaginato anche quella corsa all'indietro di 30 metri per strappare palla agli avversari.
Una disponibilità imbarazzante, in carriera difficilmente l'ho avuta
Luciano Spalletti, conferenza stampa post Napoli-Rangers
Tra panca e realtà
Il successo di questo primo scorcio di stagione si è dunque costruito trasformando un tabù, che da sempre accompagna ogni calciatore, in un'occasione per migliorarsi: la panchina.
Un luogo che smette di essere percepito come strumento di tortura per il talento e per le proprie ambizioni, ma che diventa spazio di aggregazione e partecipazione. Un'aula universitaria virtuale e reale allo stesso tempo che stimola, forma e prepara i neo medici alla prossima operazione. Non senza sorrisi.