La conferenza stampa di Max Allegri successiva alla disfatta di Empoli va ad aggiungersi a quelle già famose sulle quali è possibile ricostruire l’intero arco di carriera corrispondente all’ultimo quadriennio dell’allenatore livornese, ma in qualche misura la si può considerare anche come l’episodio finale di una serie che ha appassionato per tanti anni gli spettatori.

Se infatti si potesse riassumere l’Allegri-pensiero ripetuto ossessivamente ad ogni sua intervista, le frasi che lo identificherebbero fedelmente sarebbero: contano i risultati, l’arbitraggio è una scusa, le vicende extra campo sono scuse, bisogna stare zitti e lavorare. Il tutto accompagnato da un sorrisetto canzonatorio e vagamente mefistofelico di chi è abituato ad aver ragione, anche quando sa di non averla. In questo senso bisogna ammettere che nei due episodi più cult di cui fu vittima la sua squadra: il gol di Muntari quando allenava ancora il Milan, ed il rigore al 93esimo concesso (giustamente) ai blancos in Real Juve, Allegri mantenne il suo stile: poche scuse, è andata così, pazienza.

Ecco, andando a risentire la conferenza stampa post Empoli possiamo tranquillamente dichiarare che quell’Allegri è sparito, spazzato via dall’incombenza degli eventi o dall’incedere del tempo. Padre Tempo, direbbe qualcuno.

In un soliloquio tormentato di dostojevskijana ispirazione, Allegri dopo Empoli Juventus è stato capace di profanare tutta la simbologia che lo aveva reso un’icona da idolatrare o un nemico da abbattere.

Con un atteggiamento dimesso, e già questa è una notizia, ha esordito addirittura scusandosi con i giornalisti per la sua stanchezza emotiva (con tanto di mano sulla fronte) “permettetemelo anche se sembra che mi scivoli tutto addosso”? Tu quoque Max!

Dopodiché sciorina una dopo l’altra una serie di attenuanti da fare scuola: parte dalla sfida di andata in Coppa Italia contro l’Inter, facendo riferimento forse alla squalifica rimossa a Lukaku come se fosse un'ingiustizia – nel frattempo il mondo va da un’altra parte, vedi Ancelotti e il caso Vinicius – poi passa a Juventus Napoli, citando il gol annullato a Di Maria, giustamente, come un nuovo torto subìto, poi, ancora, in un processo temporale tutto suo ritorna – udite udite – all’undici settembre del 2022, epicentro temporale del suo distacco emotivo dall’Allegri che fu, citando la famosa svista del VAR in Juventus Salernitana. Undici settembre 2022: più di otto mesi fa. Poi, ancora, rinviene ai giorni nostri, al ritorno di Inter Juve, persa “perché la squadra era svuotata dopo la sconfitta con il Napoli”. Infine arriva al doppio confronto di Siviglia, all’eliminazione conseguente e identificata quindi come ragione scatenante della squadra svuotata vista contro l’Empoli, salvo poi smentirsi due secondi dopo trovando una nuova causa nella presa di coscienza della nuova sentenza per il caso plusvalenze poco prima del match, come se questa fosse totalmente inaspettata e trascurando che i dieci punti lasciassero comunque alla Juve la piena padronanza del proprio destino.

Insomma, un caos emotivo in cui ha infilato di tutto e ha contraddetto ogni singolo cardine del pensiero che lo aveva fatto adorare e detestare.

L’intervista di ieri è stata davvero un colpo di scena, di quelli che ti pongono sotto una luce diversa un'intera saga o Serie tv, come quando scopri per esempio che Darth Vader in fondo non era così cattivo, ma soltanto un uomo con le sue debolezze, che sapeva mascherare meglio di altri forse, ma che una volta caduta la protezione degli scandali giudiziari plurimi, si toglie il casco (bianco)nero e si mostra per quello che è veramente: un uomo come un altro.