Dopo 357 giorni e 35 giornate, il Napoli abbandona la vetta della classifica di Serie A. Un primo posto agguantato per i capelli al novantesimo minuto della sesta giornata della passata stagione, quando al Maradona il destro di Raspadori piegò lo Spezia, facendo tirare un sospiro di sollievo alla platea azzurra che già rumoreggiava dopo due pareggi consecutivi, rimediati nelle precedenti apparizioni contro Fiorentina e Lecce. Era il 10 settembre 2022 e da quel giorno, su quel successo, il Napoli costruì le sue fortune e una stagione che lo portò a festeggiare, il 4 maggio dell'anno successivo, il suo terzo tricolore della storia.

Sono passate poco più di 24 ore dalla sconfitta, pensieri e considerazioni continuano a scontrarsi nella testa, rincorrendosi in un immaginario flipper impazzito e le uniche parole che riescono a dare serenità arrivano proprio da chi non ti aspetti: “Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli”.

Luciano Spalletti le ha continuamente ripetute nell'arco della sua carriera, trasformandole in un mantra, una sorta di simbolico amuleto sul quale poggiare le motivazioni proprie e dei suoi calciatori. Parole prese in prestito da Shakespeare e dal suo Giulio Cesare, un manifesto contro il fatalismo e coloro che si rassegnano a una visione del mondo governata da forze cosmiche capaci di piegare l'uomo a un ineluttabile destino.

"Uomini forti, destini forti"

Eppure oggi, queste parole non andrebbero sussurrate a Garcia e ai suoi ragazzi, bensì al popolo azzurro. Quello stesso popolo che fino a pochi giorni fa gonfiava il petto con orgoglio e che oggi sembra schiacciato da un pessimismo figlio di oltre un secolo di remissività ai voleri settentrionali.

Non è il caso di affrontare il tema da un punto di vista sociologico e nemmeno rivendicare un atteggiamento neoborbonico, ma è innegabile l'incapacità, di gran parte dei napoletani, di riuscire a mantenere un atteggiamento razionale e moderato, sia nel bene che nel male. Ecco quindi che una sconfitta, nonostante una prestazione assolutamente rivedibile, diventa il pretesto per mettere tutto in discussione e lasciarsi andare a considerazioni che vanno ben oltre i punti lasciati sul campo, senza provare ad analizzare le cause in maniera distaccata e oggettiva, affidandosi più che ai dati ad una percezione contaminata da quel retropensiero che accompagna le estati azzurre, pregne di un disfattismo poi smentito, anche in maniera clamorosa, dal campo.

Eppure Garcia era stato chiaro, quando aveva parlato di diversi calciatori che per varie ragioni non avevano potuto allenarsi in maniera continua e adeguata durante il ritiro. Calciatori che nella passata stagione erano stati tra gli interpreti principali del trionfo e che in queste prime tre giornate hanno palesato limiti che hanno condizionato non solo le prestazioni dell'intero gruppo, ma soprattutto il risultato dell'ultima sfida al cospetto di una squadra che andava al doppio della nostra velocità.

Ci è stato detto che la società e lo staff tecnico hanno optato per una preparazione che non poteva renderci brillanti sin dalle primissime uscite, ma che dovrà dare i suoi frutti nel medio lungo termine, soprattutto in una stagione che non solo sarà orfana della pausa invernale, ma che ci vedrà impegnati nella nuova formula della Supercoppa, con 2 partite da dover vincere per portarsi a casa il trofeo.

Ci è stato detto che in questa stagione si punta non solo a confermarsi in Europa, ma addirittura migliorare l'ultimo risultato e provare così ad agguantare il pass per i prossimi mondiali per club da disputare nel 2024 negli USA. Un'opportunità storica e che non deve essere interpretata come la volontà della proprietà di veder accrescere il volume dei ricavi, ma quello di portare Napoli e il Napoli a livelli di visibilità tali da rendere il brand non solo appetibile, ma addirittura ambito anche a calciatori di primissima fascia. E allora perché non aspettare di essere a ridosso degli impegni europei prima di abbandonarsi al timore di una stagione in chiaroscuro?

Diversamente in troppi hanno fatto orecchie da mercante, dimenticando che per 10/11 questa è la stessa squadra che l'anno scorso si è accomodata sul gradino più alto del podio e se Spalletti ci ha messo un anno per trasformare un'ottima squadra in una eccellente, come si può credere che Garcia abbia deciso di cancellare il lavoro del suo predecessore e che i ragazzi abbiano dimenticato quello che sono nell'arco di tre partite?

Rudi Garcia è già sotto accusa

Oggi si discute sulle motivazioni che hanno spinto il tecnico a non schierare Natan in queste prime partite, ma sarebbe stato giusto per un ragazzo che deve già raccogliere la pesante eredità lasciata da Kim, ritrovarsi in un undici che oggi non offre le adeguate garanzie atletiche? Cosa si sarebbe detto del brasiliano se fosse stato in campo contro la Lazio, in quel balordo secondo tempo dove l'intero gruppo, ormai a corto di fiato, non riusciva neppure a mantenere le distanze tra i reparti?

Si discute finanche delle parole a fine gara del Mister, parole di chi è consapevole degli attuali limiti e chiede ai propri ragazzi di essere furbi e di accontentarsi anche del pari quando le forze non permettono di andare a prendere la vittoria. Perché è anche da questo tipo di consapevolezza, dalla capacità di saper leggere non solo l'avversario, ma soprattutto sé stessi, che si diventa grandi.

E invece saranno due settimane di mugugni, di fantasiose rivelazioni, di fantomatiche “voci interne” che parleranno di calciatori insoddisfatti del proprio ruolo, delusi dal minutaggio o dall'ingaggio.

L'ultima stagione avrebbe dovuto inculcare fiducia al pregiudizio alla platea, invece è stata capace di alimentare nuove paure, come se oggi non ci sia alternativa se non la vittoria e che il destino delle prossime partite sia già segnato da indicibili scelte compiute negli ultimi mesi. Quando dovremmo sapere che “Non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi”.