Da piccolo trascorrevo la prima parte dell'estate al paese d'origine di mia nonna. Ceppaloni è conosciuto ai più per essere la roccaforte di Clemente Mastella, oggi sindaco di Benevento, un vero e proprio equilibrista della politica, capace di superare indenne anche il passaggio da prima a seconda Repubblica.

Per raggiungere Ceppaloni, occorreva attraversare il bosco. Si abbandonava la strada statale sannitica all'altezza della frazione di Tufara e iniziavano quattro chilometri di curve immerse in una vegetazione fittissima. Di notte, il gioco preferito di mio padre era quello di spegnere le luci dell'auto d'improvviso, invitandoci a guardare il cielo. Mai viste tante stelle in vita mia.

Il rituale era sempre lo stesso, io e mio fratello facevamo a gara chi scorgesse per primo, nel verde, il castello che dominava il borgo e che ci avrebbe ospitati, essendo mia nonna una delle sue ultime abitanti.

Sistemati i bagagli, correvo come un matto per la discesa che portava in piazza, con i polmoni pieni della gioia del primo giorno di vacanza e l'emozione di catturare la reazione degli amici che non vedevo dall'anno prima.

Costruivamo fionde con una tavoletta di legno, due viti a sostenere l'elastico e una molletta di legno incollata al lato opposto per trattenere le munizioni. Giocavamo a pallone finché la luce ci aiutava e anche oltre. Erano i primi anni novanta e la tecnologia era rappresentata dall'unico videogioco presente al bar Antonello, proprio al centro della piazza. Ma la concorrenza dei ragazzi più grandi era agguerrita e la nostra interazione si limitava a fare il tifo per chi giocava. Ci stancavamo presto. Tra il fumo e le urla dei vecchi giocatori di carte, l'ambiente diventava ostile, meglio uscire fuori a progettare la serata.

Dalle scale del comune vedevamo tutto. Chiunque passasse. E Giovanni, nato e cresciuto lì, ci teneva troppo a raccontarmi i segreti di ogni singolo abitante di Ceppaloni. C'erano Erricuccio e Niculina, due fratelli cresciuti come bestie. Erano il terrore dei ragazzini del paese. Quando facevano ritorno dalla giornata trascorsa in campagna, ci nascondevamo tutti. Erano ominidi sulla cinquantina, dalle mani enormi deformate dalla zappa, i capelli di paglia e vestiti con giacche di flanella anche a luglio. Non parlavano, emettevano suoni. Di loro si raccontava che la famiglia li tenesse come bestie da lavoro.

Poi c'era zia Rosina, l'anziana che visse due volte. Di lei, leggenda voleva che l'avessero trovata senza vita nel fienile. E che il giorno del suo funerale si risvegliò cantando grazie dei fiori.

Ma il mio preferito era uno e uno solo, l'immancabile scemo del paese. Tutto il giorno seduto sull'ultima panchina del belvedere che dava sul bosco. Si accendeva solo se qualcuno gli rivolgeva la parola. Campava di qualche piccola commissione, come affiggere manifesti funebri o ripulire le stalle. Era di un'ignoranza disarmante, faticava a riconoscere persino il valore delle monete. Così, per ripagarlo, gli proponevano di scegliere tra la cinquecento lire e la cento. Lui afferrava quella da cento perché più grande.

Quelli del paese gli erano affezionati perché Claudio gli ricordava quanto fossero normali. Lo conoscevano anche nei comuni limitrofi. Venivano da Barba, Santa Croce, San Giovanni per giocare con lo stordoluto. E lui dava soddisfazione a tutti, scegliendo sempre la centolire. Un giorno decisi di giocarci anche io. Mi avvicinai con le due monete tra le mani. Gli chiesi quale volesse. Mi guardò con due occhi vivi. Scelse la centolire. Io non risi. Lui ci rimase male. Mi afferrò per un braccio e mi disse: "Il giorno che sceglierò le cinquecento lire, smetterò di guadagnare le monete da cento, non dirlo a nessuno". Geniale, diabolico, illuminante, "voglio fare questo da grande", altro che il giornalista sportivo.

Ero lì, fiero di conoscere un segreto che neanche il mio amico Giovanni, nato e cresciuto lì, sapesse. Ma durò pochissimo. Cambiò nuovamente sguardo, tono e aggiunse: "Stanno vincendo il campionato grazie ai gol di un giocatore che è frutto di una plusvalenza dove ci sono dei giocatori della Primavera che non hanno mai fatto le visite mediche, quella è la realtà di questo campionatoA parte invertite la Juventus domina il campionato, al Napoli gli parte un'inchiestina mentre è a 7 punti e deve giocare con noi e gli danno 15 punti di penalizzazione, di contro la Juve vince con il capocannoniere frutto di plusvalenze, cosa dicevano e scrivevano in Italia? Loro dicono che guarda caso tu, ma io posso tranquillamente fare il giochino con loro dicendogli che hanno vinto 3 scudetti di cui uno con la plusvalenza di Osimhen, uno con la monetina di Carmando e Alemao e la Coppa Uefa ce l’hanno 'ciulata' a noi con dei favori arbitrali, ogni volta che vincono c’è l’arbitro di mezzo”.

Faticavo a capire il senso delle sue parole, poi mi resi conto che a pochi passi da noi stava per arrivare un padre con due bambini, per fare il gioco delle monete con Claudio o' stordoluto. Era rientrato nella parte. "Cosa si fa per campare", pensai. No, era troppo, non sarei stato capace a vendere la mia dignità così. Non era quello che volevo fare da grande, avrei preferito scrivere di pallone.