Ora anche la Corte Costituzionale dà ragione a Stéphane Lissner, il sovrintendente del San Carlo che un anno fa il governo Meloni cercò di silurare con la scusa dell’età: 70 anni.

Un siluro partito con un decreto che adesso la Consulta definisce illegittimo.

Censurandolo con determinazione.

La questione era stata posta dal Tribunale di Napoli, che aveva chiesto alla Consulta di dire l’ultima parola sul decreto legge del 10 maggio 2023, poi convertito in legge il 3 luglio dello stesso anno, dopo il ricorso di Lissner contro il suo licenziamento in tronco per “limiti di età”.

Il Tribunale di Napoli reintegrò il maestro francese nell’incarico di sovrintendente e si rivolse alla Consulta ipotizzando che quel decreto fosse “lesivo dei principi di uguaglianza e ragionevolezza”, nonché dei principi “di buon andamento e imparzialità” nella gestione delle Fondazioni liriche (su cui Meloni e il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano avevano calato la mannaia).

Il Tribunale di Napoli denunciava anche “l’evidente carenza dei presupposti prescritti dalla Costituzione per il ricorso al decreto-legge”.

Che fretta c’era? Quale l’urgenza? E la Corte Costituzionale dà ragione al Tribunale di Napoli, e dunque a Lissner, su tutta la linea.

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Fretta e urgenza, in realtà, c’erano, ma esulavano dalle norme giuridiche: erano puramente dettate dalla necessità di liberare la poltrona al San Carlo per offrirla all’ex amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, cui era stato chiesto di lasciare Viale Mazzini.

Una manovra che sin da subito aveva sollevato dubbi, ma che sembrava riuscita: Carlo Fuortes a settembre scorso giunse a Napoli, nominato dalla Fondazione San Carlo e dal ministro Sangiuliano, come successore di Lissner.

Ma rimase sovrintendente solo per due settimane.

Poi il braccio di ferro legale - che durava già da giugno - restituì il San Carlo a Lissner.

Ora la Corte Costituzionale dà piena legittimità a quella decisione e alla presenza di Lissner nel Lirico napoletano.

E contestualmente tira le orecchie al governo: non solo è illegittima la cessazione anticipata dalla carica per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche a giugno scorso avessero già compiuto 70 anni, senza guardare alla scadenza reale del loro contratto (che per Lissner era fissata al 2025), ma esclude che per quella specifica disposizione censurata esistesse l’ “esigen- za di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità […], che rappresenta la necessaria legittimazione del decreto-legge ne sistema costituzionale delle fonti”.

La Consulta, in particolare, ha ribadito che il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza, “pur affidato all’autonoma scelta politica del Governo”, è assoggettato a precisi “limiti costituzionali” e a “regole giuridiche indisponibili da parte della maggioranza, a garanzia dell'opzione costituzionale per la democrazia parlamentare e della tutela delle minoranze politiche”.

"Una sentenza storica e una sconfitta clamorosa per il governo", commenta il costituzionalista Giulio Enea Vigevani, membro del collegio difensivo -insieme al giuslavorista Claudio Morpurgo e all’esperto di governance Pietro Fioruzzi- che ha assistito Lissner "Questa è la prima volta che la Consulta dichiara l’incostituzionalità di un decreto legge perché mancava palesemente la necessità di urgenza. È una sentenza storica questa e, se vogliamo metterla dal lato del governo, è una sconfitta clamorosa perché mette in discussione questo abuso continuo della decretazione d’urgenza. Mi sembra importante che la Consulta dica al governo che non può fare tutto quello che vuole con il decreto legge, che è il modo con cui si sta legiferando da tempo e ora anche di più. Questa sentenza se rimane isolata non serve a niente, ma se sarà la prima di una serie cambia il rapporto governo-parlamento", osserva Vigevani.