Da quando è iniziata quest'avventura di Napoli Network, ho avuto l'opportunità di vivere diverse "prime volte": esprimere il mio pensiero sul Napoli e di condividerlo con un grandissimo gruppo e delle fantastiche "penne", chiacchierare con napoletani illustri come il professor Siciliano (e altri ne verranno), di vivere quasi da addetto ai lavori la straordinaria avventura del terzo scudetto. Inoltre, ho avuto la possibilità di presenziare a diverse conferenze stampa del Mister Spalletti. In particolare, nelle ultime settimane, quando ormai sembrava scontato il suo addio, c'è stata una domanda che mi è sovvenuta più volte a fior di labbra e che avrei voluto chiedergli per curiosità. Tuttavia non c'è stata la possibilità – potete immaginare, le testate sono tante e non sempre si ha l'opportunità di parlare, specie per una neonata come la nostra – e quindi questo pezzo è semplicemente per chiudere il mio cerchio personale con Luciano e porgli idealmente quella domanda che non ho potuto fare.

Parto da un suo omonimo, Luciano De Crescenzo, e da un suo pensiero espresso in "Così parlò Bellavista". A proposito della vita, il professor Bellavista affermava che questa bisognerebbe misurarla in larghezza, piuttosto che in lunghezza. Faceva ovvio riferimento alle emozioni che si provano durante il percorso, piuttosto che a un mero conteggio degli anni. Contano i giorni diversi, insomma, non quelli uguali agli altri.

Mi sono accorto che Luciano Spalletti da Certaldo ha vissuto quelli che probabilmente sono stati i due giorni più emozionanti sui campi di serie A negli ultimi anni e almeno dell'ultimo decennio: lo scudetto degli Azzurri dopo 33 anni, naturalmente, e... l'addio al calcio di Francesco Totti, l'ultima grande bandiera del calcio italiano. Al di là di come poi i media hanno descritto il loro rapporto e delle serie TV che ne sono nate, la carriera di Totti è stata legata a doppio filo a quella di Luciano ed in un certo senso è giusto che Spalletti sia stato lì, all'Olimpico, mentre le lacrime scorrevano a fiumi. Così come è giusto che Napoli e Spalletti abbiano vissuto insieme il giorno in cui si sono trasformati agli occhi di tutta Italia da perdenti a vincenti, come ha saputo sintetizzare in maniera splendida su un social il figlio stesso del Mister.

Alla luce di ciò, quindi, la domanda vien da sé: caro Luciano, ma a 65 anni, dopo oltre 40 di calcio e quindi una vita sportiva molto lunga, secondo te cosa manca per allargarla ancora un po', anziché meramente allungarla?

Immagino come avrebbe reagito: avrebbe fatto spallucce guardando verso il desk, magari scribacchiando qualcosa su un foglietto mentre ricercava le parole giuste, dopodiché avrebbe risposto a modo suo, cercando di portare il discorso su una dei temi che si prepara prima, indipendentemente dalle domande, come ha candidamente confessato proprio pochi giorni fa.

A quel punto però forse un suggerimento sarebbe venuto spontaneo, magari dal sottoscritto, o da un giornalista, o magari proprio da quel demone che il Mister ha in testa e che lo condanna a non godersi del tutto la felicità istantanea e a ricercare sempre una nuova sfida.

Caro Luciano, ti avrebbe detto quel demone, ormai hai completato il tour dell'anima: Milano, Roma, Napoli. Hai unito idealmente tutta l'Italia nel tuo percorso, lasciando ovunque un buon ricordo. Adesso non ti resta che unire i puntini e andarti a prendere l'emozione che ti manca: un Mondiale con la Nazionale. E, perché no, magari vincerlo.

Del resto questo era il sogno impossibile dell'uomo che prima di te ha vinto a Napoli. Perché non riprovare ad emularlo?