C'era un tempo la Serie A, quella dei Gullit, Maradona, Van Basten, Platini, e - senza nemmeno dover correre così tanto indietro nel tempo - c'era l'Italia pallonara degli Shevchenko, dei Vieri, dei Kakà. Insomma, c'era una volta un calcio coi controfiocchi, adesso schiavo delle istituzioni giurassiche che lo governano, degli scandali e delle amicizie che ne hanno deprezzato il valore e hanno impoverito tutti i club.

Mentre gli altri campionati europei corrono, l'Italia è felice di essersi rimessa anche solo a camminare. Le tre finali europee di quest'anno hanno lanciato così tanto fumo negli occhi da far dimenticare a Gravina & co. la veridicità dei fatti: una realtà chiamata diritti televisivi.

La Serie A non riesce a vendersi

L'Italia è fanalino di coda per quanto riguarda i top 5 campionati europei in termini di diritti tv. I Presidenti dei club, infatti, assemblea dopo assemblea, non fanno altro che rimarcare quanto al di sotto delle aspettative siano le offerte ricevute per la trasmissione del nostro campionato. Si punta a superare il miliardo di euro all'anno, ma a quanto pare le offerte arrivate sono al di sotto di quanto percepito fino a quest'anno (circa 900 milioni).

Al di là del valore complessivo di tutto il pacchetto, c'è un dato che porta riflessione ed è anche la spiegazione per la quale l'Italia, al momento, con la propria Serie A è il discount dell'Europa. Il Napoli, campione d'Italia, ha incassato circa 80 milioni di euro di diritti televisivi, dietro soltanto l'Inter con 87 milioni. Il Norwich, in Inghilterra, nella stagione 2021/2022, nonostante l'ultimo posto ne ha incassati circa 120. Non c'è da sorprendersi se i club italiani abbiano difficoltà a trattenere i calciatori e, addirittura, a comprare dalla Premier League. Stando alle ultime voci di mercato, per esempio, il Wolverhampton può permettersi di rifiutare ben 35 milioni offerti dal Napoli per un proprio calciatore (Kilman) nonostante abbia chiuso il campionato al tredicesimo posto. Riassumendo: la squadra campione d'Italia ha difficoltà ad acquistare un calciatore dalla tredicesima classificata in Premier League. E infatti, gli unici trasferimenti dall'Inghilterra all'Italia o sono frutto di fantasiose operazioni finanziarie o scarti degli scarti degli scarti disposti pure a decurtarsi lo stipendio.

Anche per quanto concerne le uscite, il livello è quello. Basti pensare all'Inter, per esempio: qui si applaude alla cessione di Onana al Manchester United per circa 50 milioni, cifra vista da queste parti come ragguardevole, mentre in oltremanica la si può quasi definire un valore medio di trasferimento.

Ma per Gravina è tutto a posto

Ma è tutto okay. Tutto calcolato. Non è mica vero che non sanno più come barcamenarsi per tenere due piedi in una scarpa. L'importante, per il Signor Gravina, era preservare il brand Juventus e tirarla fuori dai guai nei quali Andrea Agnelli la aveva cacciata. Chi se ne frega dei diritti tv, quelli sono secondari. Chi se ne frega di trovare un modo per riportare il campionato a livello degli altri in Europa. Chi se ne frega se i calciatori in Italia sono oramai di passaggio. Chi se ne frega se l'ultimo mondiale al quale l'Italia ha partecipato era quello del 2014.

Gravina è come "un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: "Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio". E l'atterraggio, prima o poi, arriverà. Ma nella cultura italiana c'è il concetto di procrastinazione, del finché la barca va, lasciala andare. E mentre Gravina si può dire sereno, i club affondano, la Serie A perde appeal, le nazionali non partecipano alle massime rassegne continentali e in Europa si esulta per una finale di Conference League.

Questo è il livello del nostro calcio, ridotto in fin di vita da dinosauri troppo avidi di potere e attaccati alla poltrona per far spazio ad altri.