La fame non si allena e i calciatori del Napoli sono sazi da marzo scorso
Il Napoli non decolla, anzi. Per intensità e mentalità è lontano parente di quello che, fino alla gara con il Torino di marzo scorso, ha incantato l’Europa e distrutto la Serie A. Quello di oggi somiglia più a quello visto successivamente a Lecce, a quello che ha impattato in casa con il Verona, a quello che ha rischiato di farsi rimontare a Bologna, a quello che si è sciolto contro il Milan in casa alla vigilia del primo storico quarto di finale Champions, a quello che fallisce il match ball contro la Salernitana in casa o stenta a Udine il giorno dello storico scudetto. Quello dei 19 punti in 11 partite, in pratica.
Ma a quel Napoli è stato perdonato tutto. E anche giustamente. Con la pancia piena di un successo inaspettato è difficile essere allarmisti, anche se è una caratteristica scolpita nel DNA di gran parte della tifoseria.
Al Napoli serve una terapia di gruppo
L’appagamento è una condizione umana difficilmente allenabile già singolarmente. Ancor peggio se tocca intraprendere una terapia di gruppo. Come quella che sembra servire al Napoli. Aver staccato la spina è stata una follia iniziata quando Garcia era lontano chilometri da Castel Volturno.
Una squadra che ha cucito lo scudetto sul petto non può permettersi un atteggiamento presuntuoso e svogliato come quello visto ieri sera a Marassi - contro un Genoa giustamente caricato a pallettoni - neanche se sulla panchina sedesse un principiante o, peggio ancora, il suo peggior nemico. Prima di analizzare e criticare le idee di Rudi Garcia occorre quanto meno vedere la vena sul collo dei calciatori.
Antonio Conte, per fare un nome che avrebbe sicuramente infiammato la piazza, solo pochi mesi fa ha lasciato il Tottenham dopo aver capito che il gruppo non avesse la giusta mentalità per lottare ad alti livelli: “Sono abituati qui, non giocano per niente di importante. Non vogliono giocare sotto pressione, sotto stress”.
Anche un motivatore riconosciuto come l’ex Juventus, con uno stipendio da capogiro, ha alzato bandiera bianca e si è dichiarato impotente rispetto alla risoluzione del problema motivazionale, che quando è distribuito su più singoli diventa ancora più critico.
Garcia poco furbo
Crocifiggere Garcia è semplice. L’ultimo arrivato è quello che non ha chiuso la porta. E la colpa è sua, anche se l’ha trovata già aperta. Si distrugge il tecnico perché è stato scelto dal club che ha vinto lo scudetto attraverso la programmazione e che ha avuto la presunzione di credere che questo gruppo potesse garantire continuità di prestazioni figlia di una natura famelica. Il francese ci sta mettendo del suo in conferenza stampa. La mancanza totale di diplomazia da queste parti è un chiaro segno di sfida e Rudi farebbe bene a essere un po’ più paraculo.
Le ultime due giornate ci hanno dimostrato, però, che il gruppo è tutto fuorché affamato. I capricci di Kvaratskhelia al momento della sostituzione, dopo 88 minuti di poco o nulla, ci dicono che uno dei leader tecnici della squadra è già nella fase degli alibi. Un gruppo che, al secondo tempo della terza partita stagionale, va in crisi d’identità, scagiona l’allenatore e si accolla gran parte delle responsabilità di 100 minuti in scia con il finale di stagione scorso. Almeno in un mondo perfetto. Cosa che il calcio, in particolarea Napoli, non è.
L’opinione pubblica sta commettendo il solito errore di cercare l’assassino. Quando in realtà si tratta di un suicidio di massa. Del club che ha reputato il gruppo maturo e dei calciatori che stanno dimostrando di non aver digerito la scelta - obbligata - di uscire dalla comfort zone e di aver rifiutato da subito di aiutare la nascita del nuovo corso.
Braga ci dirà di chi è la colpa
Al momento discorsi come tattica e preparazione andrebbero posti in secondo piano. E anche i giudizi tecnici su Garcia. Ma la profondità delle analisi è nemica della rabbia. Chiedere l’esonero del tecnico, come sta accadendo in questi giorni e anche su questa testata, è tutto quello che l’ambiente non deve fare se vuole richiamare al sacrificio e ai comportamenti corretti l’intero gruppo squadra.
Arriverà la Champions, mercoledì, un palcoscenico che a nessuno conviene snobbare. Capiremo, dunque, se il problema è solo Garcia o se gran parte di colpa è attribuibile alla poca predisposizione del gruppo a calarsi in una nuova avventura. Capiremo se sono attaccati a sé stessi o alla maglia che indossano e si potranno avere le prime indicazioni sincere.