Da domenica sera l’Italia pallonara (e non) è alle prese con l’incresciosa vicenda Acerbi, le cui fasi sono passate dall’indignazione iniziale, alla giustificazione parziale e finirà con molta probabilità con il compromesso e l’accomodamento finale.

I fatti: durante l’incontro tra Inter e Napoli Juan Jesus fa presente all’arbitro che è stato oggetto di insulti di natura discriminatoria e raziale da parte di Acerbi, La Penna arbitro del match decide di non decidere, il caso vuole che proprio J.J. realizzi il gol del pareggio ed a fine gara durante l’intervista fornisca una via di uscita ad Acerbi contestualizzando il tutto al campo e di fatto accettando le scuse fattegli dal difensore durante la partita.

Il giorno seguente Acerbi viene allontanato dal ritiro della Nazionale e rilascia un’intervista in cui nega l’accusa che gli è appena costata l’esclusione dal club azzurro, il C.T. della nazionale Spalletti rilascia una dichiarazione ambigua ed in buona sostanza assolutoria “Per quello che mi ha detto Acerbi, non è stato un episodio di razzismo”.

La stessa sera J.J. ribadisce sui social che invece è stato vittima di insulti razzisti proprio nella giornata che la Lega Calcio aveva dedicato alla sensibilizzazione contro il razzismo.

La vicenda per quanto grottesca appare chiara nei suoi contorni, Acerbi in campo ha chiesto scusa e questo basterebbe a togliere ogni velleità assolutoria ed interpretazione tendente a derubricare la faccenda a cosa marginale perché in fondo gli italiani sono brave persone, Acerbi la sera va a letto presto e visto che ha sconfitto una malattia non può aver detto certe cose, come se servisse questo per avere una patente di integrità morale.

Questa vicenda rappresenta in modo plastico il nostro Paese, una Nazione che mai ha voluto fare i conti con la propria storia, con i propri errori e con la propria coscienza, siamo quel meraviglioso posto del mondo in cui si galleggia costantemente in una zona grigia di impunità ed immunità, dove si può dire tutto ed il contrario di tutto, dove non si è razzisti ma si è capito male, ed in fondo tutti possono sbagliare perché hanno famiglia.

Si perdona tutto, perché secoli di cattolicesimo all’italiana hanno concesso una sorta di indulgenza plenaria preventiva, che affonda le sue radici nello scisma e le successive tesi Luterane del 1517 che tanto hanno marcato la storia Europea; mentre nei paesi anglosassoni il concetto di perdono è intrinsecamente legato a quello di pena, da noi si perdona per motivi che nulla c’entrano con l’evento in questione.

Sembrerebbero concetti astratti e slegati dalla realtà ma non solo la rappresentano ma la condizionano, in questo Paese in nome di una presunta pacificazione si è pensato di non affrontare seriamente un ventennio di dittatura ma addirittura di depenalizzare reati e pene attraverso l’amnistia Togliatti, che di fatto ha permesso alla vecchia classe dirigente di continuare ad occupare posizioni di vertice nella neonata Repubblica.

Per questi motivi si tende a perdonare e derubricare ogni cosa, non c’è un solo evento nella nostra storia in cui qualcuno si sia assunto la responsabilità delle le sue scelte, nessuno vuole schierarsi perché in fondo è poco conveniente, e poi chi siamo noi per giudicare?

Allora si scelgono posizioni cerchiobottiste come quella di Spalletti, la si butta sul pietismo perché chi supera una malattia non può sbagliare, si è frainteso non era quella l’intenzione.

Gli italiani sono brave persone ed Acerbi va a letto presto, ha detto cavolo nero.  


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