La nazionale di calcio a 5 iraniana si aggiunge alla protesta - che si allarga sempre più a macchia d’olio - contro il proprio paese d’appartenenza per lo stato di diritto delle persone e contro la repressione, rifiutandosi di cantare l’inno nazionale durante la cerimonia di chiusura dei Campionati dell'Asia Centrale Uzbekistan vinti proprio dalle ragazze iraniane. Lo sport è in continuo fermento sull’argomento, la pallanuoto, il beach soccer e il calcio, che ad oggi si desta dell’ulteriore manifestazione del #Futsal, ossia il calcio a 5. Le proteste sono partite da Teheran a settembre dello scorso anno, dopo la morte di Mahsa Amini: la donna di origine curda fu fermata a Teheran dalla polizia morale, il cosiddetto corpo speciale denominato Basij, il quale oltre ad assicurare il servizio sociale, ha l’incarico di vegliare sulla "morale islamica” ed ostacolare l’attività dei dissidenti. La donna - presuntamente perché indossava l’hijab, lasciando scoperta parte della capigliatura e violando in tal modo le disposizioni di legge iraniane - fu arrestata e internata in un centro di reclusione per essere sottoposta a “rieducazione” che purtroppo si basò su violente percosse che l’ha costrinsero al ricovero presso il Kasra Hospital. Purtroppo, a seguito di una emorragia cerebrale prodotta da un trauma cranico, la donna decedette.
Ad oggi le proteste si susseguono non solo nel campo sportivo ma anche individualmente attraverso le rappresentanze di personaggi dello spettacolo e intellettuali, che in questi mesi stanno solidarizzando con le proteste scoppiate in Iran dopo l'uccisione di Mahsa Amini.
Secondo indiscrezioni apparse sul web, nello specifico sui social media, molti atleti iraniani si sarebbero rifiutati di cantare l'inno in partite interne, regionali o internazionali a sostegno delle proteste succitate, con conseguenti licenziamenti dalla squadra e annessi interventi delle forze di sicurezza.