Il Napoli di Aurelio De Laurentiis ha disperato bisogno di vestire sartoriale. Ha l'esigenza di conservare l'ambizione e il gusto di scegliere la stoffa, il materiale dei bottoni, la forma degli occhielli, e affidarsi alle sapienti mani di un artigiano che abbia una bottega impolverata nei vicoli di via Duomo, lontano dalle vie dello shopping. In uno di quegli appartamenti all'interno di un palazzo antico, con il soffitto alto e le finestre con i davanzali larghi.

Case adibite a laboratori, dove lavorano anziani - spesso - claudicanti, che hanno scelto il mestiere perché non avrebbero potuto fare altri lavori. Una bottega nascosta che, però, produce, lontano dalla ribalta delle copertine patinate, gli abiti per i reali di d'Europa.

L'eccellenza di un abito sartoriale è data dalla capacità di vestire i difetti. Che restano irripetibili e donano unicità anche al capo. C'è chi ha il petto forte, chi le spalle strette e asimmetriche, chi la vita grossa, chi un accenno di gobba. Insomma, un'infinità di combinazioni.

Il Napoli di difetti ne ha tanti. Ha lavorato molto negli anni per renderli quantomeno identitari. Ogni volta che si è fatto prendere dalla voglia di omologarsi, però, ha rischiato di farsi male. I prodotti semi industriali sono confezionati seguendo standard di bellezza pre stabiliti. Parametri spesso inarrivabili per i comuni mortali.

L'eleganza non è uno status da rincorrere, ma è equilibrio. Un'armonia che può essere raggiunta solo conoscendo le proprie esigenze. L'eleganza è comoda. È una manica a' mappina: una stropicciatura nel punto di incontro tra la linearità del tessuto e la cucitura circolare del girospalla stesso. Si tratta di unire due forme e due misure abbastanza diverse. Un copyright tutto partenopeo, che nasce dall'arte del riciclo.

Un vestito sartoriale è destinato a durare nel tempo. Fugge dalla cultura consumistica. Gli anziani lasciavano in eredità i propri capi. E l'invenzione della manica a mappina è figlia dell'esigenza di superare la rigidità delle cuciture pensate per un altro corpo. Da un bisogno è nato un simbolo che ancora oggi colloca Napoli al centro del mondo della moda, in una posizione dominante rispetto anche alla scuola inglese di Savile Row.

L'eleganza è armonia. Ma anche funzionalità. Le giacche inglesi erano realizzate tenendo contro del clima continentale del nord Europa. Ed è qui che il genio di Vincenzo Attolini, negli anni 30, ideò la prima giacca alla napoletana, come poi sarebbe stata chiamata: destrutturata, morbida, senza spalline, un’innovazione che sarebbe poi stata seguita da tutte le case di moda sartoriali.

Al Napoli di Aurelio De Laurentiis serve un vestito destinato a durare nel tempo. Disegnato sui propri difetti. Armonico, comodo. Rincorrere stereotipi da copertina può diventare un boomerang. Vestire di marca denota scarsa personalità. Voglia di omologarsi per insicurezza. È un vorrei ma non posso che produrrebbe solo danni.

De Laurentiis si lasci ispirare dalla napoletanità che ha fatto della sua indipendenza culturale un tratto distintivo per la sua sconfinata arte. In questo momento, di crisi apparente, attinga a piene mani dalla storia di questa città, dalla cultura di un popolo sovrano che, però, nel calcio ha smesso di rincorrere la propria unicità e punta a scimmiottare realtà dalle quali si è sempre smarcato. Il Napoli ha bisogno di un vestito su misura.

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