L’editoriale di oggi inizia con uno sport che ha pochissimo seguito in Italia: il baseball.

Non ci addentreremo nelle regole di questo gioco, che a molti di noi non sono ancora del tutto chiare nonostante, di sicuro, qualche film che parli di baseball lo abbiamo visto certamente tutti (dal femminista “Ragazze vincenti” con Tom Hanks e Madonna fino a “L’arte di vincere” con Brad Pitt sull’avvento della sabermetrica, una sorta di statistica applicata al baseball che ora è stata sdoganata anche per il nostro calcio).

Nossignore, il baseball serve per raccontare la storia di un uomo che, un giorno soleggiato di diversi decenni fa, stava guardando una partita tra gli Yakult Swallows e gli Hiroshima Carp. Sul punto di battuta c’era un certo Dave Hilton. Nell’istante in cui Dave colpì la palla, l’uomo protagonista di questa breve storia, folgorato da un’improvvisa ispirazione, prese una decisione: sarebbe diventato uno scrittore. Così tornò a casa e, per l’appunto, scrisse la sua prima opera: Ascolta la canzone del vento.

Quest’uomo è nato a Kyoto, ha superato i 70 anni e si chiama Haruki Murakami.

Murakami è uno degli scrittori più celebri al mondo, apprezzato dal pubblico – i suoi best seller hanno venduto milioni di copie – ma anche dalla critica, tant’è che è considerata la voce del Giappone contemporaneo.

Eppure ha un piccolo neo. In realtà pare interessi più al suo pubblico che ad egli stesso, ma sta di fatto che, pur essendoci arrivato diverse volte vicino, Murakami non ha mai vinto (non ancora) il Premio Nobel per la Letteratura.

Eccolo il parallelismo, ti abbiamo scovato, dannato articolista! Stai per fare una metafora tra lo scrittore giapponese ed il Napoli. Il Nobel come lo Scudetto. Il titolo agognato che, per ora, è sempre sfuggito al Napoli di De Laurentiis, spesso per un soffio.

E invece no. Se avessi voluto metterla così forse non avrei scomodato il caro Haruki ma mi sarei rifugiato nell’amato Cinema con il grande Leonardo Di Caprio che prima di aver finalmente guadagnato l’Oscar – tra l’altro forse con uno dei film meno apprezzati dei suoi – ha ricevuto ben cinque candidature ed altrettante delusioni. E sarebbe stato anche un migliore auspicio, dato che Leo, a differenza di Murakami, il titolo alla fine lo ha conseguito.

No, c’è un altro aspetto che ritengo – oggi – più interessante ed è tutto racchiuso in una frase che riporto fedelmente qui di seguito:

Affronto i compiti che ho davanti e li porto a compimento a uno a uno, fino a esaurimento delle forze. Concentro la mia attenzione su ogni singolo passo, ma al tempo stesso cerco di avere una visione globale, e di guardare lontano. Perché si dica quel che si vuole, ma io sono un maratoneta.

Questo splendido concetto si trova in un’autobiografia di Murakami, scritta a cavallo tra il 2005 ed il 2006, intitolata “L’arte di correre” in cui l’autore ripercorre la sua vita artistica intrecciandola con una sua passione: la Maratona.

A parte il fatto che la parola Maratona ha un suono familiare a noi napoletani poiché, con una semplice sostituzione di lettera, ci induce a pensare a un giocatore di calcio che qui da noi è stato ed è ancora abbastanza importante (ndr eufemismo), la similitudine che però più mi piace accostare agli Azzurri è quella podistica.

Il Napoli ha smesso di essere un centometrista. Ricordate quante celebrazioni passate per una vittoria strappata alla Juventus di turno, o al Milan, per poi gettare punti al vento in una partita apparentemente semplice? Quanti Chievo, Firenze e Sassuolo abbiamo dovuto sopportare nelle stesse stagioni in cui andavamo allo Juventus Stadium a svettare al 90esimo oppure al San Siro a segnare di rapina? Il Napoli tante volte ha tessuto la tela come Penelope, ricamando partite sontuose di giorno per poi rovinare tutto la notte, apparentemente dimentico del fatto che, in un Campionato, in fin dei conti, le partite sono tutte uguali, almeno nell’unica, basilare, opportunità che esse forniscono: fare 3 punti in più.

Ebbene, quest’anno il percorso sembra essere cambiato. Perché, se è vero che gli scontri diretti hanno avuto il loro peso, ed il Napoli ne ha vinti 4 su 5, tutti fuori casa, è altrettanto vero che, a due partite dalla fine del girone di andata, il Napoli con le squadre "abbordabili", ha fatto un percorso quasi netto. Ci era riuscito anche il Napoli di Sarri, direte, che nel 2017-18 terminò l’andata con 48 punti (il Napoli quest’anno potrebbe ancora farne 50). Eppure, anche quell’anno, dopo la prima sconfitta stagionale che, guarda caso, fu in casa contro la Juventus, in una partita che avrebbe potuto lanciarci a +7 sui bianconeri, arrivò un secondo stop, in casa contro la Fiorentina. Il Napoli si era così concentrato su quei 100 metri da correre con l’avversario spalla a spalla, da perdere il passo anche la giornata successiva, regalando ulteriori 2 punti agli avversari.

Questo è il motivo per il quale, alcuni giorni fa, il sottoscritto riteneva la partita di ieri contro la disastrata Sampdoria molto più importante di quella giocata, e persa, 4 giorni fa contro l’Inter.

Il Napoli non ha più bisogno di mostrare i muscoli in una gara da sprinter. Non ha bisogno di dimostrare all’Italia intera che può valere una Juve o un Inter nell’arco dei 90 minuti e addirittura superarle. E, soprattutto, il Napoli non teme nemmeno più l'eventuale sconfitta nel big match, perché sa che i metri che dovrà percorrere non sono cento, ma 42 mila e 195 e che, in tutti quei passi da fare, metro dopo metro, una piccola crisi, un momento in cui le gambe non girano a dovere, un periodo in cui gli avversari si fanno più vicini e pressanti, ci sarà. Ma sa anche che si è preparato, attraverso lunghi anni di delusioni brucianti come vesciche sotto i piedi, per superarli tutti.

Perché l’avversario in una Maratona, in fin dei conti, non è l’uomo che ti corre accanto, ma sei tu stesso e – al limite – il Tempo.

Quello stesso Tempo che, allo stesso minuto, il minuto 93, ha disfatto le tele – stavolta le loro – delle due compagini milanesi, che si sono fatte raggiungere da Monza e Roma dilapidando quasi totalmente la piccola rimonta che avevano avviato alla ripresa del campionato. E no, non ci addentreremo nelle questioni arbitrali, nelle lagne sotto la Madonnina che dimenticano, casualmente, gli errori – a loro vantaggio e decisivi – ricevuti in ordine sparso contro Udinese, Torino, Fiorentina da ambo le parti, e via discorrendo. E nemmeno vogliamo guardare, per adesso almeno, al percorso netto della Juve di Allegri, il prossimo prevedibile spauracchio.

Non vogliamo guardare perché, in fondo, non ci interessa. Perché, come scriveva Murakami, per il Napoli ora conta soltanto fare il proprio compito, passo dopo passo, partita dopo partita, fino all’esaurimento delle forze.

E se cadiamo, ci rialziamo subito. Per arrivare al traguardo.

Perché il Napoli, per chi non l’avesse ancora capito, e anche di questo poco ce ne curiamo, ha imparato l’arte di correre.

E allora corre. Contro il Tempo, corre nel Tempo, per andare, una volta per tutte, a cogliere quell'attimo che fugge.


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