Il Napoli è Campione d’Italia per la terza volta nella sua storia. Lo scriviamo in alto, come fossimo affetti da Alzheimer e avessimo la necessità, vivendo da soli, di annotare la routine quotidiana su post-it da attaccare al frigo.

Il Napoli è Campione d’Italia per la terza volta nella sua storia. Lo scriviamo di nuovo, non si sa mai cadesse dal frigo il post-it di prima.

La verità è libertà

In questi anni al Napoli non è stato perdonato nulla. Da nessuno. Stampa e tifosi. Generalizzeremo per motivi di sintesi, ci perdonino le minoranze.

Ogni volta che si è palesata la possibilità di contrapporre un eroe alla figura antieroica di De Laurentiis, questa è stata colta al volo, schierandosi sempre dal lato sbagliato della storia. Persino durante lo Spalletti gate, che gate poi non era.

Sarà che dalle nostre parti amiamo le moine. Abbiamo bisogno di ricevere attenzioni, sentirci dire continuamente quanto siamo speciali. Sarà che cerchiamo inconsciamente e incessantemente che venga riconosciuta la nostra centralità nel mondo. Sarà che forse viviamo il complesso della napoletanità mascherandolo con l’ostentazione di essa. Sarà quel che sarà, resta il fatto che sentirci dire la verità, senza giri di parole, lo troviamo un atteggiamento irrispettoso, da biasimare. In questo teatro a cielo aperto che è Napoli, in cui ognuno indossa la propria maschera, sceglie il trucco, il modo di camminare, il tono della voce, fare i conti con la realtà è un po’ come restare nudi. Provoca imbarazzo.

Quanto è faticoso, però, reggere il personaggio. Ci sono giorni in cui vorresti liberarti dall'armatura degli stereotipi ed essere semplicemente un uomo. Ma non puoi. O meglio, non ci riesci. La frustrazione raddoppia quando qualcun altro lo fa, mettendo in crisi la tua coscienza.

Il Napoli è padrone del proprio destino

Il Napoli è sempre stato padrone del proprio destino, economico e tecnico. Nessun compromesso. Qualsiasi cosa reputata non sostenibile è stata messa da parte.

“Manca sempre un centesimo per apparare il milione”, si diceva. E invece la somma di tutti quei centesimi risparmiati ha permesso al club di essere un modello organizzativo senza eguali in Italia. Ed è proprio questa unicità che ha creato problemi all'ambiente, che avrebbe preferito, invece, scimmiottare i modelli dei principali club del nord. Invece, Milano e Torino oggi piangono, mentre Napoli ride di gusto.

Se nel 2007, le strisciate avessero avuto l'intuizione di seguire il modello Napoli, oggi la Serie A sarebbe un campionato più ricco, competitivo, solvibile, in rampa di lancio e attraente sui mercati internazionali dei diritti tv. Per fortuna o purtroppo così non è stato. Per fortuna per il Napoli, che ha potuto lavorare senza concorrenza e raccogliere più di quanto, a parità di condizioni, avrebbe raccolto. Per sfortuna delle nuove generazioni di sportivi italiani, che non hanno potuto godere di un campionato nazionale a livello della tradizione calcistica nazionale.

Il percorso del Napoli ha un valore enorme, perché è stato realizzato contro il vento della narrazione che ha sempre strizzato l’occhio al populismo.

Per vincere ci vogliono i campioni affermati. Occorre fare il passo più lungo della gamba. Prendiamo i parametri 0

Ne dimentichiamo un numero infinito di forzature storiche spacciate per postulati infallibili del calcio. Tomi e tomi di pensieri imposti per avvalorare l’operato di chi oggi è finito ai margini del calcio e costretto i propri tifosi, quelli pensanti almeno, a ragionare di procedura penale piuttosto che di cose di campo.

Il Napoli è Campione d’Italia, nonostante tutto

Il Napoli è un club sovrano. Padrone delle sue volontà, che contemplano la vittoria non come fine ultimo, ma come conseguenza del proprio modo di vedere il calcio. Il club si è svincolato dall’ossessione di imporsi ad ogni costo. Ha collocato l’ambizione in una dimensione costruttiva e non tossica. Ha trionfato senza mai dimostrare dipendenza dalle vittorie, a differenza del tessuto sociale e intellettuale in cui opera.

Una dignità mai infranta. Napoli è un privilegio. In questa frase c’è tutto il sentiment di De Laurentiis. Una risposta ferma a chi ha tentato di abusare dell’affetto ricevuto. Se ami Napoli, dimostralo rinunciando a qualcosa. In pochi lo hanno fatto.

De Laurentiis ha dimostrato di conoscere i napoletani meglio di quanto i napoletani conoscono loro stessi. Ne ha colto le esigenze latenti e ha ignorato gli impulsi manifesti. Ha intuito che attraverso il gioco si può creare identità. Ha creduto che Napoli potesse reggere uno sviluppo internazionale. Ha realizzato che costruire un campione in casa crea appartenenza. Per farlo ha investito, aspettato, difeso potenziali campioni che, una volta rivelatisi, sono diventati paladini dei suoi contestatori.

È successo per ultimo con Spalletti, zero scudetti prima di Napoli. Accolto con l’immancabile puzza sotto al naso. Un primo anno di scetticismo fino allo striscione della vergogna. Oggi idolo indiscusso. Vincitore e vittima del Presidente, il profilo ideale dell’eroe che sconfigge il nemico pubblico numero uno. Un tatuaggio fatto con sentimento, trasformato in un grido d’aiuto da chi non vede l’ora di creare una contrapposizione per poi scegliere il lato sbagliato della storia. In questo caso è stato un esercizio durato poco. Almeno fin quando le versioni di entrambi sono irrimediabilmente coincise. Con buona pace di tutti.

Un nuovo inizio

Il Napoli è Campione d’Italia per la terza volta nella sua storia. La prima senza essere debitore a vita di Diego. Una condizione totalmente nuova.

Il Napoli riparte dunque per un nuovo inizio. Una nuova sfida da affrontare. Essere riuscito a vincere sarà un arma a doppio taglio. Sarà il nuovo eroe creato dall’antieroe. Il club si troverà a fronteggiare sé stesso. Come accaduto con il fantasma del Napoli di Sarri. Questa volta ancora più sicuro dei propri mezzi. Ancora più ricco. Ancora più pronto a sedersi al tavolo delle grandi, con la consapevolezza di sempre. La consapevolezza di essere unico, perché club da sempre sovrano. Il Napoli ha smesso di essere suddito da tempo. Ma non i suoi tifosi e la classe intellettuale che si spiaggia sul populismo ogni volta che dimentica la storia. E chi non la conosce, si sa, è condannato a ripeterla.