Poche sere fa sono andato a teatro a vedere uno spettacolo di uno stand up comedian che reputo molto bravo e che si chiama Francesco De Carlo.

Il titolo del suo show è Limbo, da intendere non come il ballo caraibico ma, escludendo anche l’interpretazione teologica, come quella zona di passaggio nella quale a volte – per le pieghe innumerevoli dell’esistenza – ci si può ritrovare, senza volontà o forze sufficienti per uscirne.

Non ci si sente né di là, né di qua. Nel mezzo.

Immagino già la domanda ronzante nel lettore: perché ci troviamo a parlare di dubbi esistenziali su una pagina che dovrebbe parlare del Napoli?

Ecco, la sensazione è che il Napoli si trovi esattamente in questa terra di confine, da molto tempo.

Quante volte, parlando con altri tifosi, avrete esclamato “Però il Napoli non fa mai quello step decisivo” magari declinandolo anche con le colorite espressioni dialettali dal sapore anacronistico: “A De Laurentiis manca sempre il centesimo per fare la lira”.

Quante volte abbiamo tutti pensato che, forse sì, quella volta lì sarebbe stato l’anno della consacrazione, per poi essere puntualmente smentiti. “Questo è l’anno buono”, “ora o mai più” sono espressioni che hanno accompagnato e accompagnano tutt’ora le nostre discussioni sul Napoli da diversi anni. Anzi, quasi ogni anno (buono).

Napoli: Big o Outsider?

Tuttavia, prima o poi, con precisione chirurgica, ci scontriamo con la realtà e arriviamo a dover fare i conti con i fatti: perdiamo. O, se vogliamo essere benevoli, non vinciamo. Tuttavia, chi riesce a conservare lucidità, non può fare a meno di notare alcune circostanze.

La prima: sappiamo bene che Il Napoli storicamente non è mai stato la Juventus, né l’Inter, né il Milan. E, pur vantando un numero di tifosi ed un palmares confrontabile con la Roma, non ha quella universalità riconosciuta alla squadra della città Eterna. Siamo meno riconoscibili, insomma.

Gli stessi trionfi ottenuti sul finire degli anni ’80, per quanto indimenticabili, sono riconducibili più ad una sola persona, il miglior calciatore di tutti i tempi, piuttosto che ad una vittoria di squadra, al di là degli estremismi di opinione di turno (vedi Cassano).

Proseguendo il ragionamento, d’altra parte, il Napoli, pur avendo anche in questo caso una bacheca che conta più o meno gli stessi trofei, non è confrontabile nemmeno alla Lazio. O alla Fiorentina. O al Bologna o al Torino, che, andando a ritroso nel tempo, vantano molti più titoli nazionali. O all’Atalanta, piccola favola dell’Italia Settentrionale. La realtà partenopea, per numero di tifosi e per geopolitica, è oggettivamente superiore a tutte queste altre.

Insomma, per farla breve: siamo la meno Big delle Big. Ed allo stesso tempo la meno Outsider delle Outsider.

Questo produce dei cortocircuiti clamorosi anche nel racconto dei mass media, che ci trattano come l’una, o come l’altra, a seconda delle esigenze di vendita (o di politica,) che sono quasi sempre volte a sottovalutare i meriti della squadra nei momenti in cui essa si trova a primeggiare – in questo caso il motivo del primato va ricercato nei demeriti delle avversarie – per poi massimizzarne i demeriti quando non arriva l’agognata vittoria.

Tuttavia, non è solo il rettangolo di gioco a ricordare la differenza che esiste tra il Napoli ed il triumvirato del Nord. Anzi, il campo è stato quasi sempre un mero riflesso pavloviano di quanto avveniva dietro le scrivanie e nella gestione delle risorse. Da un lato gli eterni (o no?) Agnelli alla guida della Juventus, il Milan e l’Inter che nei decenni sono passati da imprenditori dalle finanze sterminate – Berlusconi, Moratti – ai fondi di investimento stranieri che, al di là dei pro e dei contro che questo genere di patrimoni possano fornire, rappresentano comunque una struttura ad amplissimo raggio che produce risonanza planetaria.

Noi invece restiamo con l’imprenditore, illuminato – lo dicono i numeri – che, come ha detto più volte, prova sempre a competere per vincere, ma quando si compete si può anche perdere ma comunque limitato, soprattutto per legittime precauzioni finanziarie.

A conti fatti, quello di Limbo è un concetto molto astratto che, a volte, può essere inteso non soltanto come una dimensione spaziale – un luogo in cui si è prigionieri – ma anche una dimensione temporale, ovvero un Tempo di durata indefinita che, nel caso del Napoli, riproduce sempre le stesse dinamiche: ascesa - competitività - spettacolarità - vittoria vicina - quasi ad un passo - sconfitta.

Un lunghissimo giorno della Marmotta. Questo è, ad oggi, il Limbo del Napoli di De Laurentiis.

Il giorno della Marmotta del Napoli

Tuttavia, così come accade al fenomenale Bill Murray nell’omonimo film, il Tempo, prima o poi offre una finestra di opportunità da cogliere per oltrepassare quel giorno che si ripete pedissequamente.  Del resto anche la Storia, quella vera, ci insegna che tra una dominazione e un’altra può verificarsi un periodo di Limbo, o se vogliamo chiamarla in gergo più politico, di interregno, in cui diverse circostanze avvengono contemporaneamente finendo col sovvertire l’ordine esistente: la caduta di un sovrano, il vuoto di potere, una rivoluzione: fine del Limbo.

Così può accadere che un Inter, dopo un ottimo biennio, si ritrovi con una proprietà inesistente, in bancarotta, con un allenatore bravo ma non forte; può accadere che il Milan forse avverta il Big Bounce dello scorso anno, il rimbalzo emotivo della sorprendente vittoria dello scudetto e stia perdendo mordente; soprattutto, può accadere che la Juventus viva il suo secondo – in ordine cronologico –periodo più buio della sua storia, con conseguenze potenzialmente clamorose, per colpe esclusivamente sue.

E quindi, in silenzio, partendo dai cellulari roventi di Giuntoli, proseguendo poi sulle lavagne tattiche di Spalletti, professionista che ha vissuto un Limbo ed un’etichetta di “quasi vincente” simile a quello della squadra che oggi allena, fino ad arrivare alle partite giocate negli Stadi e alle sfide dentro i palazzi del potere con le poltrone lasciate vacanti, succede che in questo momento il Napoli è indubitabilmente la squadra più credibile d’Italia, sul campo e fuori dal campo. Per i numeri dei suoi giocatori e per quelli dei suoi amministratori.

La squadra più credibile anche agli occhi del resto d’Europa, con buona pace dei media e dei tifosi nostrani che, come di consueto, sono affetti da cecità selettiva.

I got you Babe

Il Napoli, in questo preciso momento storico, è una BIG, anzi: è la BIG più accreditata per vincere in Italia.

Manca solo una cosa: fare come Phil Connors, il protagonista del film citato, ovverosìa cambiare fino in fondo sé stesso per cambiare ciò che ha intorno. Ed è ciò che ha fatto finora il Napoli ma che deve continuare a fare con l’aiuto di tutta Napoli, dalla stampa all’ultimo dei tifosi. Spalla a spalla, tanto per fare un’ultima riconoscibile citazione di uno che è passato da queste parti. Del resto, il giorno della Marmotta, festa americana e canadese, cade il 2 febbraio. Allo stesso modo, quindi, dopo il mese di Gennaio, a valle di tanti scontri diretti che vedranno il Napoli protagonista, forse sapremo se questo Limbo, il nostro personalissimo Giorno della Marmotta, che per Connors iniziava sempre con la radio che trasmetteva sempre la stessa canzone fino a renderla insopportabile – I got you Babe di Sonny and Cher – avrà avuto finalmente termine.

Siamo pronti per nuove canzoni?