Inutile girarci intorno, il pareggio con la Salernitana sposta solo di qualche giorno la data ufficiale che sancirà il Napoli campione d’Italia, ma ciò che salta agli occhi è l’ennesima partita conclusa con valori statistici schiaccianti rispetto all’avversaria e appena un gol segnato.

L’ultima sosta ci ha restituito un Napoli lontano parente della squadra capace di stritolare la Serie A ed essere annoverata come una delle più serie pretendenti alla vittoria della Champions. Nelle otto partite disputate sono appena due le vittorie, conquistate con la miseria di 5 gol segnati, 3 dei quali sugli sviluppi di palla inattiva e un goffo autogol.

Partite nelle quali il Napoli ha avuto costantemente il pallino del gioco in mano, toccando valori di possesso palla vicini all’80% e arrivando a calciare verso la porta una ventina di volte, ma se a S.Siro abbiamo imprecato alla sfortuna o meglio alle prodezze di Maignan, dobbiamo ammettere che non è sempre stato il portiere avversario il nostro limite.

La squadra non è stanca, altrimenti non riuscirebbe a condurre la partita con tale continuità, ma manca di brillantezza e soprattutto è fragile dal punto di vista difensivo. Anche a Torino, dove sia chiaro si è vinto con merito, ha regalato agli uomini di Allegri, una squadra che abbiamo visto difendere lo svantaggio in semifinale di Coppa Italia, occasioni clamorose e solo per decimi di secondo, quelli che hanno impedito a Milik di toccar palla prima della tibia di Lobotka, abbiamo evitato l’ennesimo gol in ripartenza.

C’è una costante nell’ultimo mese e cioè il ripetersi di alcune giocate avversarie alle quali non riusciamo a trovare contromisure efficaci e la difficoltà nel trasformare in gol la mole di gioco prodotta. Anche oggi tanto fumo e poco, pochissimo arrosto, con il bravo Ochoa impegnato nel primo tempo solo da Anguissa con un tiro da fuori e da Osimhen di testa su un cross da palla ferma. Il gol di Olivera nella ripresa pensavamo potesse sbloccare gli uomini di Spalletti che invece hanno palesato il solito difetto, non concretizzare le occasioni prodotte, con Kvara quantomai impreciso e a secco da oltre un mese e il gol ospite che arriva in pratica al primo vero tiro verso la porta dell’incolpevole Meret. Col mister che aveva anche fatto entrare Juan Jesus per affrontare il tridente granata, per ritrovarsi poi con Osimhen ad affrontare Dia in occasione dell’ottima giocata della punta senegalese.

Probabilmente oggi stiamo pagando tutto quello che la buona sorte ci ha donato durante l’arco della stagione, quando alle ottime prestazioni, che non sono mai mancate, si andava ad aggiungere quel pizzico di fortuna che non guasta mai. Quella fortuna che ti faceva sbloccare la partita al primo tiro in porta o che soffiava a fil di palo le conclusioni avversarie. O più semplicemente le parole di Kim dal ritiro della Korea - “Sono stanco mentalmente” – erano da estendere all’intero gruppo che per mesi ha spinto sull’acceleratore a ritmi da record, per poi staccare il piede dal pedale a pochi metri dal traguardo.

Ancora poco e scopriremo se a Udine basterà un pari o ci vorranno i tre punti per la matematica, sempre se Lazio e Juventus non decideranno in autonomia di ritirarsi dalla corsa e consegnarci il tanto agognato scudetto con un giorno d’anticipo. Non sarà come vincerlo in casa propria al Maradona, ma a questo punto il dove e il quando contano il giusto.