I momenti complicati nella gestione De Laurentiis ci sono già stati. Ancora più pericolosi di quelli che si vivono in queste settimane.

Senza entrare nello specifico del breve Napoli di Donadoni o alla mancata qualificazione in Champions League di Rafa Benitez (complice il rigore tirato alle stelle da Gonzalo Higuain quando si era sul 2 a 2 di quel tristemente famoso Napoli - Lazio), fu l'ammutinamento durante la gestione Carlo Ancelotti il punto più basso dei 19 anni di presidenza Aurelio De Laurentiis.

A leggere i commenti di quelle settimane, possiamo tranquillamente dire che le similitudini con questi giorni sono davvero notevoli. Anche all'ora si parlava di "Napoli in declino", di "De Laurentiis in fase calante", di "vecchiaia anticipata" e di un "Napoli che aveva fatto il massimo di quel che poteva fare". Questo per citare i commenti più benevoli. Addirittura vi era chi era sicuro che il Napoli mai più avrebbe chiuso un campionato al secondo posto in classifica.

E a mettere, si pensava, la pietra tombale arrivò il Covid. Che ha messo in serissima criticità tutti i club del mondo, che, bene ricordarlo, sono aziende e pensano, tra l'altro ma soprattutto, ai profitti. Perché un'azienda che non ha profitti non è sana. E se non è sana, non ha motivo di esistere (vale ovunque tranne per il campionato italiano di calcio, sia chiaro).

Ed il Napoli, con tutte quelle criticità invece, andò a nozze. Perché tutte le riserve economiche che aveva (quelle tanto criticate, quelle tanto vituperate, quelle tanto chiacchierate anche da economisti improvvisati) furono la vitamina essenziale per il rinascimento napoletano.

Mentre gli altri club annaspavano nel fango dei debiti e delle manovre, dei bilanci fittizi e conti in rosso che arrivavano (ed arrivano ancora) sulla luna, il Napoli di De Laurentiis rilanció con un dimenticato Luciano Spalletti (per chi scrive, già all'epoca, e molto prima, tra i migliori 5 tecnici al mondo) prima confermandogli la maggior parte delle rosa, e una volta resosi conto definitivamente che quei ragazzi erano sì talentuosi, ma non sapevano cosa significasse vincere. Cessioni illustri, normalizzazione (fu anche riduzione, ma meglio specificarlo) del tetto ingaggi, ringiovanimento della rosa con calciatori in rampa di lancio.

Inutile pure ricordare, o meglio soffermarsi, su quali basi Luciano Spalletti e Aurelio De Laurentiis iniziarono l'anno che poi avrebbe portato lo scudetto alle falde del Vesuvio. Contestazioni e Digos. Ma fu quella la forza della società. Una spinta che certo non arrivò dalla città, troppo presa a rimpiangere Koulibaly e Mertens (Insigne di meno, la sua colpa è sempre stata quello di essere di Frattamaggiore) e convinta che mai e poi mai si sarebbe potuto tornare ai fasti di un tempo. Fasti che, però, paradossalmente e contestualmente venivano criticati.

Il resto è storia. Campionato dominato e quarti di finale in Champions League.
Il risultato più importante della storia del Napoli. Immaginare un Napoli in difficoltà dopo tutto questo era francamente prevedibile. Soprattutto se la guida tecnica e lo staff vanno via per altri accordi, nonostante un anno di contratto ancora in essere.

Oltre questo, la condizione nuova di cui abbiamo già ampiamente discusso (essere campioni in carica), che mette in criticità qualsiasi club o azienda al mondo che non ha l'attitudine, e l'abitudine, a vincere. Visto il passato e tenendo conto da dove il Napoli ha saputo emergere, considerando che questa squadra nei momenti dopo le difficoltà nuota sempre in mare aperto come Michael Phelps lo faceva in piscina, siamo sicuri che anche questa volta (con Mazzarri subito o con qualcun altro a giugno) saprà ritornare dove questa gestione l'ha portata: lottare quasi sempre per i primi posti.

Sarà necessario cedere chi ha la pancia piena e acquisire calciatori forti, giovani e in rampa di lancio, che vedano Napoli come la migliore possibilità in quel momento per la loro carriera. Azioni quasi sempre compiute, incredibilmente non eseguite l'estate scorsa.
Questo è quanto, altri utopistici sogni li lasciamo a chi vorrebbe sceicchi o fondi di investimento cinesi, coreani o americani che verrebbero non solo ad investire nel calcio (sic).

Al momento però, c'è la gestione De Laurentiis, anche se gli anni passano.
Perché gli uomini invecchiano, ma le idee restano.

https://www.youtube.com/live/D87x275Ua_4?si=fEpvRR11mm60pKhI
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