Alla fine torniamo sempre là; quello che vogliono non è la giustizia, né pari opportunità. Ad essere reclamata a gran voce è solo l'impunità: la scrematura delle responsabilità penali e disciplinari per la Juventus, in ragione della propria posizione dominante all'interno dello scenario calcistico italiano.

A ben vedere è questa la sola chiave di lettura onesta, per dirla alla Hemingway, dei raffazzonati tentativi di difesa d'ufficio ad opera degli stakeholder dello juventinismo militante, vestiti di panni fintamente equidistanti, e rilanciati in pompa magna dalle barricate scioviniste bianconere.

Editoriali, ad esser sinceri, apprezzabili: perché gettano la maschera, articolando l'unica posizione in grado di tenere insieme l'incredibile mole di irregolarità ed illeciti emersi dall'inchiesta Prisma.

Non puniteci. Siamo la Juve.

Un assioma che, a cascata, proietta su ciascuno dei filoni giudiziari aperti la propria onda d'urto, corroborando l'idea che, tutto sommato, scamparsela è l'unica cosa che conta.

Sembrano lontani i tempi dell'immediato post-calciopoli: quando la Juventus, decapitata del proprio management, si impegnò ad accettare il verdetto giudiziario e a bonificare la società da coloro che ne avevano infangato onorabilità e immagine.

Sulla falsariga di quanto promosso dalla restaurazione made in Andrea Agnelli, imperniata sul revanchismo nei confronti della manovra di palazzo del 2006 e finalizzata alla dominanza costi-quel-che-costi, la galassia juventina ha preso a coltivare un sentimento di rivalsa nei confronti del 'sistema'; una ideologia fallace che ignorava la condizione di centralità assoluta della stessa Juventus.

Insomma, se c'è un sistema, di quel sistema la Juventus non solo era parte, ma ha assunto con ogni evidenza una posizione dominante.

Ecco perché, oggi, di fronte all'improvvisa raffica di deferimenti e avvisi di garanzia, assiste attonita e costernata; ad essere messa in dubbio è proprio l'idea stessa di comandare in casa propria, con regole accomodanti ed un sistema di controllo imperniato sul volemose bene.

Gli articoli che fanno capolino qua e là negli ultimi giorni, dicevamo, sono ossequiosi a tale humus: il filone plusvalenze? Non conta nulla, perché le plusvalenze le facevano tutti e solo la Procura di Torino ha agito.
(Va da sé, ricordare che Juventus S.p.A. è una società quotata in borsa; che le risultanze processuali emerse dalle intercettazioni hanno rappresentato l'esistenza non di operazioni discutibili ma di un vero sistema illegale, orchestrato sull'abuso dello strumento, sulla totale irrilevanza della singola operazione e su un dolo orientato all'alterazione dei bilanci; e che la mole di tali irregolarità ha finito per ingolfare la macchina amministrativa della stessa società, la quale non ha rinunciato ad esercitare un ruolo di egemonia sul mercato pur in una situazione economico finanziaria che non glielo avrebbe permesso)

La manovra stipendi? Bisognerà dimostrare che gli accordi sotto banco abbiano consentito alla Juventus di iscriversi ai campionati; altrimenti, patteggiamo e via, senza conseguenze.
(Tralasciando che proprio loro all'epoca dei fatti celebrava la trovata dimostratasi truffaldina - e questo dovrebbe già dire tutto, altro che Santoriello..., il riferimento alla soluzione light, con sole ammende, è un auspicio. Stop. La mole delle cifre pattuite, la reiterazione emersa nel commettere le infrazioni e soprattutto le pressioni di membri del CdA, nonchè, l'emersione di altri elementi indiziari della presenza di un sistema finalizzato alla falsificazione dei bilanci, non può non portare a consistenti penalizzazioni: d'altronde, se non fosse stato necessario per far quadrare i bilanci, perché una società ricca, forte e potente come la Juventus avrebbe dovuto ricorrere ad una pratica vietata esplicitamente ed in maniera così grossolana?)

La partnership con gli altri club? Così fan tutti. Non si può punire una prassi. E poi, per quanto tempo ancora durerà questa storia?
(Infine, il capolavoro: Paratici che faceva il mercato di altre squadre, che trattava per conto terzi, che imponeva calciatori a valore predeterminato. Così fan tutti, un corno. Ad essere messo sotto accusa è ancora una volta un sistema in cui gli stessi dirigenti juventini si sentivano padroni, mammasantissima di un meccanismo entro cui annacquare le proprie incapacità. L'accertamento della verità durerà tanto? Quanto il tempo in cui il calcio italiano è dovuto sottostare al dominio incondizionato di un'unica maitresse. Il solo pensiero di amnistiare gli illeciti è esemplificativo di un metodo, nel quale ad aver ragione non è il più giusto, ma il più furbo).

A tenere insieme il tutto, dunque, l'appello alla ragion pratica: la Juventus, che illecitamente ha acquisito un ruolo dominante nel sistema, non può subire un trattamento di pari grado agli altri. E, allora, visto che nessun'altra società si è trovata impelagata in situazioni di tale gravità (e non perché quella di Torino è l'unica Procura che lavora, ma perché solo a Torino si facevano queste cose!), bisogna semplicemente fingere che non sia mai accaduto.

Una visione che racconta molto della sudditanza di un paese mansueto coi forti e magari sadico coi deboli, che magari in futuro, viste le levate di scudo attuali, proveranno ad emulare malagestiones criminogene.

E ci spiattella l'unica vera difesa possibile, in un mare di artifici retorici:

"Salvateci, vi prego, siamo la Juve"