L’ex calciatore azzurro Roberto Sosa, per tutti “El Pampa”, ha rilasciato una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, ecco gli spunti più interessanti:

“Fui il primo tesserato del nuovo Napoli nato dal fallimento. Firmai il contratto in una stanza dell’Hotel Vesuvio. Non esisteva una sede. Il primo giorno di ritiro eravamo in quattro: io, Montervino, Montesanto ed Esposito. Non c’era nulla, zero. Tutto sequestrato. Tutto così surreale”.

Il primo allenatore fu Giampiero Ventura: “Parlava delle sue idee a questi 4 disperati, ma era fantacalcio. Non c’era una squadra e nemmeno la si poteva immaginare. Esposito aveva in macchina il pallone sgonfio del nipotino. Un pallone della Lazio. Facemmo con quello i primi palleggi. Ventura fu esonerato dopo due mesi: non aveva mai allenato in C. Voleva imporre il suo gioco, ma su quei campacci ci voleva altro. Arriva Reja, uomo pragmatico, A gennaio arrivò anche Calaiò. Aveva fatto un casino di gol al Pescara”.

La promessa di Pierpaolo Marino: “Mi chiamò e mi disse: ‘Ti voglio portare con me a Napoli, non te ne pentirai, torneremo in A e diventerai il re della città’. Mi feci promettere da Pierpaolo che nell’ultima al San Paolo avrei indossato la 10 di Maradona. Era stata ritirata, ma in C valeva ancora la numerazione tradizionale. Nell’ultima partita in casa eravamo già promossi, chiedo a Reja la numero 10 ma lui fa il vago. ‘Vediamo’, mi fa. ‘Vediamo un cazzo, mister!’. Parlai con Pierpaolo e gli ricordai il patto”.

Sul primo incontro con De Laurentiis: “Ci disse: ‘Ragazzi, se l’arbitro ci fischia rigore contro voi dovete dire grazie’. Non capiva molto di calcio, ma ci fece subito sapere che gli importava il rispetto delle regole. E poi sa scegliere gli uomini, non ne sbaglia uno”.

Il suo ricordo di Spalletti? “Spalletti l’ho avuto a Udine. Se penso a lui, non mi ricordo di come giocava tatticamente. Mi ricordo la sua empatia: te le faceva toccare con mano le cose in cui credeva. Se lo confronto con Sarri, un altro allenatore che stimo e conosco bene: Sarri insegna a giocare a calcio, Spalletti ti insegna a come stare nel calcio.

Questo Scudetto lo senti anche un po’ tuo? “Mi sento d’aver messo il primo mattone, il primo a dire: crediamoci. Il primo atto di fede. Con i compagni, De Laurentiis e Marino, abbiamo attraversato l’inferno e oggi siamo alle porte del paradiso.

Il suo calciatore preferito di questo Napoli? “Facile dire Osimhen, ma scelgo Simeone. Mi ci rivedo in lui. Umiltà, orgoglio, dedizione. Sta in panchina solo perché ha davanti un fenomeno, accettare non è facile ma lui è impeccabile”.

Ed invece quello più forte con cui hai giocato? “Guillermo Schelotto al Boca, Amoroso all’Udinese e il Pocho Lavezzi al Napoli. Un pazzo. Genio e sregolatezza. Non gli piaceva allenarsi. Per un anno ha fatto finta di non parlare e non capire l’italiano per non avere rotture di scatole”.