Domani a Wimbledon Nole Djokovic e Carlitos Alcaraz si giocheranno i il più prestigioso dei trofei con la racchetta ma non il numero uno della classifica mondiale, che invece vedrà a prescindere continuare a torreggiare il nuovo fenomeno iberico.

Nessuno scandalo, il serbo resta nel suo Olimpo irraggiungibile insieme a Nadal e Federer (discutere chi dei tre sia il migliore e in base a quali criteri è esercizio al quale ci sottraiamo con piacere), mentre è altrettanto pacifico immaginare come Alcaraz sia al momento un erede più che degno di quella triade. Anzi, oseremmo dire che qualche finale e qualche Slam, Carlitos li avrebbe vinti anche se fosse nato dieci anni prima e quindi avesse affrontato i big Three nel pieno della loro maturità.

Pensate che negli ultimi vent’anni – 1040 settimane – soltanto per 57 volte il numero 1 ATP recava un nome che non fosse uno di quei tre. Addirittura soltanto 16 settimane, se includiamo anche Murray nel novero. Una piccolezza.

Perché diciamo questo? Perché è esistito Marcelo Andrés Ríos Mayorga. Che significa e cosa centri con la serie A lo spieghiamo subito.

 A volte nello Sport, per primeggiare, ci vuole anche la “fortuna” di capitare nel periodo giusto, in un’epoca in cui non vi sia un dominio assoluto di un monopolista o pochissimi oligarchi.

Prendete la serie A per esempio: tra il 1993 ed il 2023, ovvero la bellezza di 30 anni, ha visto solo 3 squadre primeggiare, tranne due trionfi romani di Giubileica natura a cavallo del 2000. Quelle 3 squadre si sono anche divise numerose trofei e/o finali europee. Erano fortissime, con giocatori fortissimi, e lottavano per vincere ovunque. Alle outsider di turno, dunque, in Italia, restavano le briciole.

Quello che sta accadendo negli ultimi anni, ma più specificatamente quello che sta accadendo negli ultimi mercati estivi, sembra invece suggerire un chiaro appiattimento delle storiche big italiane. Sì, lo so, si obietterà che l’anno scorso abbiamo raggiunto tre finali (con zero vittorie) e che Inter e Milan sono appena riemerse da una banter era. Tuttavia credo sia innegabile che il valore di queste squadre resti lontano anni luce da quelle che si giocavano tutto nel periodo menzionato.

Quando le big non sono più così big avviene il paventato “livellamento verso il basso” che ha come prima conseguenza sportiva una cosa tutto sommato gradevole: per le outsider – le meno forti storicamente – è più “facile” emergere e vincere.

Lo ha dimostrato il Napoli, che è diventato per una decina d’anni la vera rivale della Juve approfittando del decadimento meneghino, e lo ha confermato nella stagione appena terminata, con il suo scudetto arrivato dopo un quadriennio di equilibrio (con tanto di 4 scudettate diverse in 4 anni) e conquistato con giovani promesse. Lo dimostrano le liti estive tra Inter e Juve per accaparrarsi Lukaku, un 30enne reduce da due stagioni pessime, e non il Christian Vieri di vent’anni fa. In fondo lo ha dimostrato anche Luciano Spalletti che ha raggiunto quel titolo che troppe volte gli era sfuggito anche e perché aveva di fronte avversari troppo forti.

Insomma, se è vero che in campo europeo è tutt’altra storia (e tenendo conto che il nuovo format della Champions profuma davvero tanto di SuperLega e toglierà ancora più spazio e fascino ai campionati nazionali),  questo nuovo navigare delle tre storiche squadre del Nord nei mari delle giovani promesse da pescare prima che esplodano, oppure nelle paludi scomode degli ingaggi ridotti, renderà ancora più incerto il campionato e, magari, farà sì che il Napoli, ma anche la Roma, la Lazio o una vera outsider come Atalanta o Fiorentina, possano conquistare lo scudetto con una frequenza superiore a quella ultradecennale alla quale da troppo tempo noi tutti siamo abituati. I fiumi di denaro della Premiere League e dell’Arabia potrebbero agire da inaspettata livella per la Serie A. Sarebbe così un male?

Chiedetelo appunto a Marcelo Rios, tennista cileno, El Zurdo de Vitacura, se gli è dispiaciuto essere il numero 1 del Tennis Mondiale per diverse settimane, pur non avendo mai vinto in carriera nemmeno un trofeo del grande Slam. Se fosse nato dieci anni dopo non sarebbe stato nemmeno un top 10. Invece gli capitò nel 2001, lo stesso in cui un talento svizzero vinse il suo primo, piccolo, torneo, a Milano. Si chiamava Roger.