La Juventus è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi tifosi, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. (semi cit.)

Il mondo del calcio e il suo meraviglioso seguito rappresentato dalla sua platea - più che auspicarne la radiazione - dovrebbe augurarsi che la Juventus estirpi in maniera definitiva la sua natura predatoria, sintetizzata alla perfezione dal mantra "vincere è l'unica cosa che conta", che è l'antitesi dello sport, ma non solo. Uno slogan talmente persuasivo da azzerare la coscienza sportiva dei suoi sostenitori. Oggi il mondo Juve è attorcigliato in una spirale che intreccia le ambizioni dei tifosi a quelle personalissime dei suoi dirigenti, impegnati da anni in una guerra di potere interna, prima che esterna. Le reazioni del mondo bianconero alle indagini spiegano bene questa sinergia. Pare quasi che la Juventus abbia tradito il calcio ma non i suoi fedeli, impegnati ad attuare una lotta ideologica, estenuante e totalitaria, per convincerci che è tutto lecito, perché vincere è l'unica cosa che conta, appunto. Una relazione tossica in cui i due amanti si incoraggiano a vicenda nel perseguire l'obiettivo di dominare la concorrenza attraverso qualsiasi mezzo, persino giustificando le azioni di Paratici che alla storia passerà come l'ala stragista del sistema bianconero. Un codice d'onore che sviluppa i suoi comandamenti e i suoi principi di correttezza morale all'interno di uno schema ben preciso. Tutto ciò che è fuori dal cosmo bianconero viene reputato contrasto.

Il terzino dei due mondi

Il bersaglio di queste ore è senza dubbio quello che possiamo ridefinire il terzino dei due mondi, Don Mattia De Sciglio, tra l'altro fresco di rinnovo. Uno dei due pentiti - insieme a Matthijs Deligt, ora in forza al Bayern Monaco - che ha consegnato ai giudici la chat in cui Giorgio Chiellini avvisa i compagni di squadra di non proferire parola circa l'accordo sulla restituzione degli stipendi a cui pubblicamente avevano rinunciato. L'ex capitano ne aveva negato l'esistenza, meglio di lui aveva fatto Gianluigi Buffon, non ricordando.

La rabbia nei confronti della "spia" si è manifestata nei commenti a un post per celebrare il ritorno al lavoro con i compagni di squadra. Una serie innumerevole di insulti degni dell'aula bunker che ospitò il Maxiprocesso a Cosa Nostra, durante la deposizione di Tommaso Buscetta. Un vero e proprio linciaggio: "Sbirro, Infame, Traditore". Un linguaggio che ostenta una colpevolezza latente oltre che lo sprezzo dei basilari principi sociali. Si chiede ai propri calciatori di essere omertosi. Anche di fronte alle evidenze. Ma non tutti sono soldati fedeli come Chiellini o Buffon.

La famiglia bianconera è composta per la stragrande maggioranza da meridionali in cerca di autodeterminazione sociale. Non è un segreto. Da sempre è la prima squadra del sud Italia, terra abbandonata a se stessa da una classe politica che ha demandato il controllo del territorio e la regolazione dello stato civile a organizzazioni che nel tempo hanno eroso gran parte del patrimonio culturale di una terra ricchissima, ma volutamente lasciata nel degrado. Intere generazioni cresciute nel nulla e con la consapevolezza che il rispetto delle leggi sia un malus per ambire a una condizione di vita migliore.

La Juventus del dopo Calciopoli avrebbe potuto incarnare l'esempio, perfetto per questa terra, di come la cultura del lavoro, attraverso le competenze e il sacrificio quotidiano, possa essere l'unico viatico per ristabilire l'orgoglio delle proprie radici. Avrebbe vinto qualche Scudetto in meno, ma visto crescere il suo fascino sportivo, che nell'era del marketing emozionale non è cosa da poco, soprattutto in termini di fatturato.

Per restare in tema, ci verrebbe quasi da dire che non è stato De Sciglio a tradire la Juventus, ma che sia stata la Juventus a tradire se stessa.

Ridateci la Vecchia Signora

Nessun tifoso di calcio chiede a un big club di non trarre vantaggio dal proprio blasone. Anzi, chi tifa una squadra non abituata a vincere sogna di battere i giganti proprio per quella mistica che si portano dietro. A patto che questa resti sempre confinata nel lecito e non trascenda nell'infallibilità a ogni costo. L'ultimo decennio bianconero è stato impostato su una modalità umanamente non sostenibile. Su un corto circuito filosofico. Non sappiamo più se è stata la dirigenza a essere stata vittima dei tifosi o viceversa. I confini di questa storia ormai sono diluiti. Al nuovo corso spetta il compito di ripulire l'immagine della Vecchia Signora, in maniera definitiva, tramite un processo che deve apparire credibile per primo agli occhi degli avversari. E tentare poi di recuperare una tifoseria drogata da un senso di onnipotenza volgare. Il blasone non si costruisce tramite successi di plastica, ma anche e soprattutto tramite le sconfitte. L'importante è rispettare le regole. Guadagnare il rispetto dell'avversario nello sport è l'unica cosa che conta. Vincere è una conseguenza.

Il futuro della Juventus passa, dunque, attraverso una discontinuità comunicativa. Il vantaggio è che dopo anni e per altri anni a venire, il cognome Agnelli non sarà più direttamente legato al marchio. Che siano gli Elkann o una nuova proprietà a traghettare l'immagine del club verso una nuova era emotiva poco importa. Il nuovo corso sarà credibile solo se riuscirà a educare i propri sostenitori alla sconfitta. Perché non è dichiarare un numero indefinito di Scudetti a rendere grande un club, ma il senso di ammirazione nello sguardo degli avversari. E quello, manca da troppo tempo, ormai.