Luciano Spalletti, per chi scrive, è da sempre uno dei migliori allenatori del mondo. Da anni, almeno 15. Ha sempre raggiunto gli obiettivi affidatigli e lo ha fatto in modo del tutto meritato. Fino all'apice. Quel capolavoro indimenticabile culminato ad Udine il 4 maggio del 2023, quando si è laureato campione d'Italia per la prima volta nella sua carriera.

Da quel giorno però, forse da pochi mesi prima, il tecnico di Certaldo si è come "politicizzato", naturale conseguenza per chi decide di sposare un sistema in cui mai si è riconosciuto, in virtù del sempreverde detto il potere logora chi non ce l'ha.

Spalletti, dopo Napoli, dopo quel grande traguardo, voleva qualcosa in più. Voleva parlare dall'alto di un piedistallo, ma l'ambizione lo ha portato in un vortice di bugie che farà fatica smaltire.

Una delle nazionali più brutte ed oscene di sempre sotto la sua gestione è una degna conseguenza del fatto che, ad un certo punto del suo percorso azzurro, ha parlato più del suo passato recente (il Napoli ed Aurelio De Laurentiis) che del presente.

Mosso da una inspiegabile paura di essere dimenticato, ha sempre buttato lo sguardo all'ombra del Vesuvio senza rendersi conto di avere tra le mani una Italia imbarazzante. Una selezione senza né capo né coda: senza verve, senza dignità, senza amor proprio o di patria.

Il gol di Mattia Zaccagni al 98esimo con la Croazia non ha fatto altro che allungare l'agonia.

L'anno sabbatico, gli stivali, la campagna. Per poi scegliere un percorso, la Nazionale, lontanissimo dal suo credo e dal suo fare, ma politicamente più affascinante. Sete di potere di un uomo che era sempre stato considerato eterno secondo o perdente di successo, finché non è stato scelto da un club che fa della cultura del lavoro il suo credo principale.

Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Spalletti ha scelto la strada "politica" guardando al passato. Non rendendosi conto del presente. Senza pensare al futuro. Ne esce con le ossa rotte. Ha dato un assist ai suoi detrattori per ricominciare a sussurrare.

La gara conclusiva l'ha giocata con Fagioli (non sarebbe cambiato nulla, sia chiaro) ma basta per capire quanta confusione abbia fatto nel tentativo di anteporre il suo enorme ego al bene comune.

Il risultato è stato al limite del ridicolo, anche considerando l'enorme disaffezione che gli italiani hanno ormai nei confronti dell'Italia. Ben diverso rispetto a quella di Conte o Mancini per restare ai tempi recenti. Peccato, ma la spocchia, si paga. Nemmeno Spalletti ne è stato esente. Ed è giusto così.

https://youtu.be/4qWWzUcNvx8?si=K2h2CGbvXr4MfsGj
Iscriviti al nostro canale Youtube